Replica di Franco Debenedetti a Bragantini

settembre 30, 2001


Pubblicato In: Corriere Della Sera, Giornali


La domanda da porsi è: per gli operatori economici è preferibile la legge attuale o quella finora in vigore?

Salvatore Bragantini non ha dubbi: la modifica della disciplina del falso in bilancio e delle comunicazioni sociali è una “riforma sbagliata”. Egli ne scrive il giorno stesso in cui l’aula del Senato la approva definitivamente. Da tempo scaduto il termine per presentare emendamenti, oggi è inutile discutere su quello che sarebbe potuto essere, il giudizio da dare è solo più su quello che è. La domanda da porsi è: per gli operatori economici è preferibile la legge attuale o quella finora in vigore? Io sostengo di sì. Bragantini dice di no, ma in realtà il suo confronto non è tra la legge votata e quella precedente, bensì tra la nuova e una bozza ormai consegnata agli archivi.

Che quella bozza fosse migliore lo sostengo anch’io., anzi l’ho fatto fino all’ultimo momento utile per lo iure condendo, tant’è che in Senato ho alzato il braccio in favore dell’emendamento 11.204 che riproponeva la versione Fassino nel disciplinare il falso in bilancio. Una volta però respinti gli emendamenti, i lavori preparatori della legge sono materia per storici e studiosi, non interessano l’utente della nuova legge.
Se invece il confronto è necessariamente con la vecchia legge del codice Rocco, io ribadisco che la nuova è un fatto di civiltà giuridica. A chi come Bragantini, continua a credere, legittimamente, che il prius delle scritture contabili d’impresa sia la loro fede pubblica, io oppongo la visione – funzionale all’attuale sviluppo dei mercati – delle imprese come insieme di contratti, i cui contraenti esigono dalla legge la protezione dei loro contrapposti interessi, e non l’aderenza ad astratti principi. Credo che compito degli amministratori sia dare una rappresentazione della realtà aziendale adeguata agli scopi legittimi degli operatori; non fornire l’impossibile fedele riproduzione di una “Verità”.
D’altra parte quali sono i risultati che in 60 anni ha prodotto la vecchia formulazione del 2261 del codice Rocco? Quali sono stati gli illeciti puniti, quanti invece i procedimenti aperti e conclusisi poi o con assoluzioni o con archiviazioni? Quanti i casi in cui il “non poteva non sapere” è stato usato per ragioni che con gli interessi dei soci e i diritti degli investitori non avevano nulla a che fare? Bragantini sostiene che la nuova formulazione rende più difficoltosa la formazione delle prove. E’ una tesi che affonda le sue radici in una visione per la quale il falso in bilancio dovrebbe essere perseguito non in sé e per sé, ma perché strumento con cui provvedere i mezzi economici per commettere reati più gravi, quale finanziamento illecito della politica, corruzione, ecc. Argomento specioso. Perché delle due l’una: o si hanno prove del reato più grave e allora questo sussume in sé anche quello minore e strumentale al procurarsi i mezzi per commetterlo; oppure corruzione e quant’altro non sono provate, e allora la possibilità di perseguire il falso in bilancio vecchia maniera, in cui la rappresentazione della realtà economica dovrebbe coincidere con la sua riproduzione, e anche fatti di entità irrilevante, sono strumenti impropri consegnati alla magistratura per punire arbitrariamente un reato di cui non si hanno prove.
Questo è ciò che è accaduto per decenni: ed è ciò che la larga parte della società e non solo gli imprenditori chiedono che non succeda più. Aver elaborato una proposta in questo senso è merito dei governi di centrosinistra. La commissione Mirone tenne la sua prima riunione il 30 Luglio 1998, chiuse i suoi lavori il 23 Maggio 2000, il ddl del Ministro Fassino é del 20 Giugno. Chi trova migliori le formulazioni ivi contenute, dovrebbe chiedersi perché mai alla sinistra non è riuscito in un anno quello che l’attuale governo ha fatto in meno di 90 giorni. Conviene ricordarlo: le prime anticipazioni della Mirone vennero accolte con severe critiche da una parte della magistratura, riprese da autorevoli commentatori e da organi di stampa, tanto che la commissione credette più prudente passare la patata bollente al Governo, prevedendo solo genericamente la pena della reclusione, che il ddl Fassino precisa in 5 anni ( in luogo degli attuali 4). Il 27 Maggio 2000, Federico Rampini su Repubblica (“Vince il volto peggiore del capitalismo”) si domandava testualmente: “ ma una riforma così Amato non poteva lasciarla fare a un Governo Berlusconi?”. E’ stata la conseguente aspra divisione che la materia ha prodotto nella maggioranza a consigliare al governo di rinunciare a far approvare la legge.
Alla riforma del falso in bilancio è stato messo il bastone fra le ruote, come avvenne alle pensioni o alla flessibilità nel mercato del lavoro. Con una differenza. Mentre tutelare i ceti sociali sindacalizzati è un credito antico della sinistra, compiacere una parte della magistratura assomiglia piuttosto a un debito recente. Io condivido quindi le osservazioni tecniche di Bragantini, anche se osservo che sono ormai inutili. Credo che lui condividerà il mio giudizio politico: sono state le “riforme rinunciate” della sinistra ad aprire la strada alle “riforme sbagliate” della destra. Credo che concorderà nell’individuare i gruppi sociali e i referenti culturali che hanno propiziato questo risultato. Riflessione forse non inutile ora che il maggiore partito della sinistra sta cercando di individuare guida e strategia per il proprio futuro. Se ho deciso di non votare contro questa legge è perché nella mia testa il favore reso a Berlusconi nei suoi processi, favore che considero gravissimo e sbagliato, non può sovrastare la soddisfazione dei legittimi interessi degli operatori economici che da anni attendevano leggi che li proteggessero da arbitrarietà e incertezze.

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