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Rai privatizzata, pochi la vogliono
Pubblicato il 11/09/2004 @ 14:06 in Giornali,Il Sole 24 Ore
Ogni discorso sulla privatizzazione della RAI deve partire da una constatazione e da una previsione: il mondo politico, a larghissima maggioranza, si oppone alla privatizzazione della RAI. Per il passato e il presente, è ovvio. Per il futuro, ci sono buone ragioni per pensare che così continuerà, e nessuna per pensare il contrario.
L’attuale maggioranza, se resta al governo, non ha nessuna ragione per rinunciare a una situazione che le dà il controllo quasi totale dell’etere, tanto più ora che la legge Frattini ha di fatto legalizzato il conflitto di interesse; e se sarà all’opposizione, avrà pur sempre un’influenza sull’emittente di stato (e il duopolio con un concorrente appesantito dal controllo pubblico continuerà ad assicurare a Mediaset pingui margini).
Il centrosinistra non ha privatizzato quando, essendo al governo e prevedendosi la vittoria di Berlusconi, aveva la possibilità e l’interesse di farlo. Se tornerà a vincere, non lascerà che sia un privato a consumare la vendetta. La battaglia è facile e il terreno è fertile: quale servizio pubblico è più pubblico dell’informazione, quale merce meno da affidare alle logiche di mercato che la cultura e la formazione del consenso politico?
In tre legislature e 7 governi, ho visto passare la Bogi Napolitano, la Maccanico 1, la Maccanico 2, la Gasparri, in Commissione e poi in Aula, ho sentito diecine di proposte, migliaia di emendamenti, partecipato a innumerevoli dibattiti: la privatizzazione della RAI le forze politiche non la vogliono. E ogni discorso che prescinda da questo dato di fatto è figlio di un inganno: di un inganno subito, come è il caso dell’articolo di Alessandro De Nicola (“RAI, meglio una privatizzazione barocca che niente”, Il Sole 24 ore del 9 Settembre) o di un inganno perpetrato, come è il caso della legge n.112 del 3 Maggio 2004, meglio nota come legge Gasparri.
Naturalmente sempre che ci si intenda sulle parole: si ha privatizzazione solo quando lo stato perde il controllo della società; negli altri casi si tratta solo di alienazione di patrimonio pubblico. Non è una pignoleria linguistica, è una differenza di sostanziale importanza per il bilancio dello Stato, per le imprese, per gli investitori: l’uso improprio del termine nella sollecitazione al pubblico risparmio dovrebbe essere considerato dalla Consob falsa comunicazione e pubblicità ingannevole (così in un mio ddl presentato un anno fa). D’altra parte la Gasparri stessa (art 21) parla di “alienazione della partecipazione” e non di privatizzazione. In Parlamento e sui giornali, ho insistentemente sfidato il Ministro a mettere un termine alla totale “alienazione”: mai un cenno di risposta, neppure in via ipotetica.
Per queste ragioni, e per quelle che ulteriormente preciso, sono convinto che:
1. La legge Gasparri ostacola la privatizzazione.
2. Iniziare a vendere azioni della RAI è di pregiudizio per l’eventuale futura privatizzazione…
3. …e nel frattempo aumenta confusione e corruzione.
E infine, per favore, lasciamo stare il barocco: che usa fantasia, meraviglia, arditezza, virtuosismo per ampliare lo spazio di verità, mai per consumare un banale inganno.
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