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Radicali Torinesi

Pubblicato il 17/01/2023 @ 11:57 in Giornali,Varie


di Michele Masneri

Contro il logorio della città industriale negli anni Sessanta nasceva il design notturno e pop di Strum e Studio 65. Tutto parte dal Piper

Nei fatali Sessanta, mentre a Milano si muovevano i soliti dioscuri del design, da Magistretti a Castiglioni a tutti gli altri, a Firenze nasceva il design radicale, a Roma nel design non è mai successo niente, a Torino succedeva qualcosa di eccezionale. Come a Firenze, la molla fu la noia. Nel ’64 Un articolo su Casabella intitolato “Torino. Monopolio e depressione culturale ” a firma di Riccardo Rosso, sconosciuto studente di Architettura ma futuro socio di Pietro Derossi (allievo di Mollino) e del costituendo gruppo Strum, che stava per “architettura strumentale” e aveva come obiettivo principale quello di utilizzare l’architettura come uno strumento di partecipazione alle lotte sociali e politiche, rompe il grigiore esistenzial-architettonico.

Ma se di giorno si va in università e si picchetta la fabbrica, di notte si va in disco. Nel 1966 si inventano infatti il Piper. Derossi con la moglie Graziella Gay non solo lo allestiscono, ma lo gestiscono pure. Il Piper torinese, non quello romano. Il Piper torinese non è solo discoteca ma galleria, luogo di incontro e di presentazioni, snodo polifunzionale grazie anche alla attività di Gian Enzo Sperone. “Nel locale di foggia vagamente fantascientifica e in un clima da gran fiera delle vanità, centinaia di invitati si sono assiepati nelle fogge più stravaganti. Professionisti in severi abiti da cerimonia si sono ritrovati spaesati tra nugoli di ragazze che sgambettavano con ardite minigonne al frastuono lacerante dello “shake” e alle urla scomposte dei musicisti capelloni e cantanti “yé yé”, scrive la Stampa il 30 novembre 1966.

Nel marzo ’67 Michelangelo Pistoletto espone al Piper i suoi specchi. Marisa Merz espone i suoi Living Sculpture. Arriva il Living Theater. Piero Gilardi mostra i suoi “Tappeti natura” in poliuretano espanso che riproducono fedelmente scenari naturali, quali il greto di un fiume, una spiaggia ghiaiosa, un orto, prendendo spunto dalla pop art statunitense, Claes Oldenburg da appendere. Buona parte dell’arte povera, brand coniato proprio in quell’anno da Germano Celant, calcherà quella boite. Viene invitato anche Schifano, ma come ha ricordato Pietro Derossi su ArtTribune, “ci rispose che avrebbe preferito mandare una band e così si costituirono le Stelle di Schifano. Un gruppo molto bravo che ha suonato al Piper per qualche mese”.

Ma un altro gruppo o collettivo anima le notti torinesi. E’ lo Studio 65, capitanato da Franco Audrito, con Athena Sampanitou (detta Nanà), Ferruccio Tartaglia, Paolo Perotti, Adriana Garizio, Gianni Arnaudo. Gruppo più “factory” con pittori, registi, ancora più pop, Studio 65 arreda le migliori case torinesi che dissemina di progetti iperkitsch dai nomi “archeologici”: Altare di Venere, Caduta di Babilonia, Olimpo Torinese, mentre Gillo Dorfles nel 1968 dà alle stampe proprio il saggio sul kitsch che libera tutti. Il più celebre manufatto dello Studio 65 è il divano Bocca, realizzato nel 1970 per la palestra e centro estetico American Contourella di Milano (!). Super classico oggi, come la bandiera americana che riveste il divano Leonardo, realizzato nel 1969, siamo in piena divanizzazione dei classici pop art. “Bocca” risente delle labbra carnose di Pino Pascali, che volentieri fa la spola tra Roma e Torino.

La storia è raccontata in “Radical pop. Le design politique à Turin de Mai 68 aux années de plomb”, di Pia Rigaldiès, Presses universitaires du Septentrion, 2022. Un’altra “hit” dello Studio 65 è Capitello, realizzato nel 1971, dove si prende un segno della storia dell’architettura, un capitello greco, e lo si trasforma in banale pezzo di arredo (di plastica, e storto per di più, in modo che non possa servire davvero a nulla, meno che mai a reggere magari delle borghesi tazzine da caffè). Tutto merito del poliuretano, comunque, e questi anni di sperimentazione torinese sono anche un grande inno alla plastica – del resto Primo Levi esprime la sua più sincera ammirazione da chimico al Nobel per la plastica Giulio Natta (1963).

In poliuretano anche molte delle creazioni che gli Strum portano alla XIV Triennale di Milano del fatale ’68, dove vengono invitati grazie al successo del Piper. E lì presentano un’installazione- “set” composto da mobili futuristici che non hanno alcuna funzione pratica, un “non design”: coi Puffi, sedili in poliuretano espanso a freddo a portanza differenziata, superficie coloratissima resistente agli agenti atmosferici, visti oggi sembrano enormi capsule Nespresso fuoriscala. Alcuni di questi complementi poi verranno messi in produzione, come la poltrona Torneraj, fatta da Riccardo Rosso. La poltrona Torneraj, non concava ma convessa, è un triangolone quadrettato che non sembra in grado di ricevere, tanto meno far accomodare alcun corpo. Viene creata inizialmente per Franco Debenedetti, gran collezionista e committente, per cui Derossi fa anche una casa nella Torre littoria di Torino, “la più bella casa che abbia mai avuto”, dice adesso Debenedetti al Foglio. “I tavolini erano derivazione diretta del Piper, li ho ancora adesso. Poi c’erano le due Zattere, due oggetti uguali, uno per dormire e uno come divano”. L’architetto era molto orgoglioso del suo manufatto. “Quando entrai osai dire: questa casa mi sembra un po’ fredda. Accendi il riscaldamento, risponde quello”.

Dal Piper e da quella esposizione alla Triennale nasce anche un altro oggetto celebre, il Pratone per Gufram. E Gufram dei fratelli Gugliermetto è l’azienda che trasforma in realtà il sogno dei radicali torinesi (Gufram deriva da Gugliermetto-fratelli-mobile).

Entrambi i gruppi partecipano nel ’72 alla fondamentale mostra al Moma “Italy: the new Domestic Landscape” di Emilio Ambasz, che celebra e certifica il design italiano. Il gruppo Strum porta alla mostra tre “Fotoromanzi politici”: dei fantastici albi o “roman-photo”, fotografati e titolati proprio come fotoromanzi ma che trattano di temi super politici, tra cui il problema della casa per la Torino degli anni Settanta con le case popolari per gli immigrati dal Sud, oggi oggetti di straculto collezionistico.

Ma il post-Ambasz quasi uccide i due gruppi. Lo Studio 65 comincia a cercare fortuna in medioriente, concorrendo a gare e commesse in Arabia Saudita, Egitto, Tunisia. Gli Strum si scindono. Di quella stagione rimane il ricordo di un’epoca irripetibile (formidabile quel poliuretano, vabbè).

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