Questione di sfiducia

luglio 5, 2002


Pubblicato In: Giornali, Panorama


Il prezzo politico del caso Scajola

Ci sono tante “questioni di fiducia” nell’affare Scajola: c’è quella che la maggioranza non mancherà di fornire al “ministro della malaparola”, secondo la lapidante definizione di Giuliano Ferrara; e quella che Berlusconi vedrà intaccata per averlo difeso. Ma c’è un’altra fiducia che è stata scossa, in modo meno appariscente ma più profondo: la fiducia del cittadino nelle istituzioni. Non le istituzioni che appaiono con le bandiere dietro e i microfoni davanti, ma quelle con cui concretamente entra in contatto: la Pubblica Amministrazione.

Coma fa il cittadino ad avere fiducia in quel pezzo di P.A. che é la polizia, quando il ministro che ne è responsabile dichiara che non sarebbe capace neppure di proteggere se stessa, tant’è che, se ci fossero stati, gli uomini di scorta a Biagi sarebbero morti con lui? O in quel pezzo di P.A. che é la polizia giudiziaria, se degli omicidi di Marco Biagi, (come di quelli di Sergio D’Antona) non c’è traccia? O in quel pezzo di P.A. che é la magistratura, che da un lato non ha neppure la curiosità di controllare le e-mail spedite e ricevute dal professore, dall’altro autorizza più intercettazioni di quante se ne fanno in tutti gli USA?
Il cittadino sa bene che queste inefficienze non sono nuove, ma sente che nuovo è il modo con cui il Governo le considera. Quando Berlusconi dice che vuole governare il Paese come un’azienda, il cittadino intuisce che dietro la metafora sta una radicale contrapposizione, l’azienda come luogo dei “buoni” contro la P.A. come luogo dei “cattivi”.
Tutti i governi devono fare i conti con la P.A.: ne sa qualcosa anche l’Ulivo che dovette cedere alle resistenze degli insegnanti. Ma quello che per altri governi è una difficoltà, per Berlusconi è idiosincrasia, quella che per altri è una corporazione vischiosa, per lui sono dipendenti infedeli. La sua sfiducia verso la P.A. è di natura ontologica, quindi irrimediabile. Si rivela in episodi comici, come quando, entrando alla Farnesina, parla con disprezzo dei “gilet di cachemire” che i diplomatici dovranno sostituire con i doppiopetti dei promotori dell’azienda Italia. Si concreta in rivoluzioni epocali, come quando sottrae alla gestione della P.A. la totalità dei beni posseduti dallo Stato, e li trasferisce nella Patrimonio SpA, dove saranno amministrati da manager nominati dal Tesoro.

Il cittadino queste cose le sente: non può avere fiducia in una P.A. quando il primo a non averla é chi la dovrebbe guidare. E’ per ragioni di cultura di governo, e non solo di moralità politica, che le indegne parole di Scajola verso quel rompiscatole di professore non possono essere archiviate come un caso. Esse rivelano l’insofferenza verso chi, nell’amministrazione, cerca la strada stretta, tra riforme e conservazione, dove trascinare i riottosi e convincere i diffidenti. Nel prezzo politico che Berlusconi dovrà pagare per come ha voluto chiudere questa brutta vicenda, si dovrà mettere in conto anche la sfiducia nello Stato e nella P.A. che così ha trasmesso ai cittadini.

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