Quel che pensa un rabbino

dicembre 12, 2003


Pubblicato In: Varie

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Procreazione assistita

Testo dell’intervento tenuto in Senato il 10/12/2003 per dichiazione di voto
Molti interventi finora tenuti hanno una ratio che si radica nella cultura cattolica e si irradia a partire dalla dottrina della Chiesa di Roma.

La mia dichiarazione di voto ha lo scopo di portare in quest’Aula anche l’eco di opinioni che derivano dalla cultura del giudaismo. Spero che l’intento valga a scusarmi delle inesattezze in cui, temo, incorrerò rispetto all’ortodossia rabbinica.

Innanzitutto, conviene ricordare che il giudaismo non presuppone nessuna dottrina della legge naturale di per sé e quindi che le pratiche, ad esempio quella della fertilizzazione in vitro, devono essere esaminate, secondo l’insegnamento giudaico, solo alla luce di possibili infrazioni delle prescrizioni bibliche. In assenza di una specifica proibizione, l’uomo è libero di utilizzare la conoscenza scientifica per superare impedimenti di natura.

Per la dottrina rabbinica un riferimento obbligato è il “crescete e moltiplicatevi” del Genesi. Come è noto, nella lingua ebraica l’imperativo ha un genere; in questo caso il Libro usa il genere maschile. È per questo che il dovere coniugale incombe solo all’uomo e non alla donna, ed è per questo che, a rigore, solo un uomo sposato potrebbe officiare in sinagoga. I non sposati, infatti, si sottraggono all’insegnamento biblico.

Ciò che rileva nel caso della fecondazione eterologa è, per l’insegnamento rabbinico, se si tratti o meno di adulterio. E vengono citati dei passaggi del Talmud (Chagigah 14b) in cui la discussione chiaramente indica che, almeno dal punto di vista teorico, la possibilità della concezione sine concubito è stata riconosciuta dai saggi del Talmud. Comunque la questione non verte sulla permissibilità della procedura, ma sullo stato della madre post factum.

Le autorità rabbiniche contemporanee hanno opinioni diverse tra loro sul fatto se la fecondazione eterologa costituisca un atto di adulterio. Alcuni pensano che, per la sua propria natura, l’adulterio richiede che sia compiuto un atto sessuale. Altri invece sono in disaccordo e pensano che ricevere il seme di un altro uomo nel tratto genitale sia già un atto adulterino.

Potrei continuare su quanto dice la dottrina in merito all’aborto, al feto, alla liceità di distruggere embrioni, che per alcuni vale fin dal concepimento, mentre altri lo consentono entro i primi quaranta giorni di gestazione.

Quello che mi preme ricordare con questo mio intervento è che esistono dottrine religiose, magari più restrittive, ma comunque diverse e diversamente fondate da quelle che ci sono più famigliari. Quindi, se noi chiediamo alla legge il rispetto delle sensibilità religiose, dovremmo, a rigore, tutelare quelle più restrittive e scegliere, tra le varie interpretazioni, quelle più limitanti. È, ad ogni evidenza, una strada sbagliata. Altri sono i criteri da assumere per uno Stato di diritto.

La storia di Israele dimostra che le fedi religiose e le fedeltà alle proprie idee non hanno bisogno delle leggi dello Stato per durare nei secoli.

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