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Quei preoccupanti silenzi in materia di antitrust

Pubblicato il 29/08/2005 @ 13:17 in Giornali,La Stampa

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Fondare la sostituzione di Fazio sulla “colpevolezza” è contraddittorio con la volontà di introdurre le riforme: se va mandato via perché non ha rispettato le regole in vigore, bisognerebbe – a rigor di logica- chiedere che venissero rafforzate, non sostituite da altre diverse. Fondarla invece sul cambiamento di politica è più rapido, dà luogo a minor contenzioso, è più dignitoso per il Paese. Soprattutto è un passaggio obbligato se si vuole cambiare davvero.

Sono due le “ondate” che si sono abbattute su Bankitalia. La prima provocata dagli scandali Cirio e Parmalat; la seconda dalle OPA su BNL e Antonveneta. Due tsunami entrambi nella stessa direzione, entrambi dovrebbero abbattere la barriera eretta da Bankitalia a difesa del sistema con cui governa il nostro sistema bancario. Ma con differenze rilevanti tra le due “ondate”.
Per Cirio e Parmalat, non ci fu solo indignazione (ricordiamo ancora il “poche persone, pochi soldi” di Fazio), né solo azioni per individuare le responsabilità di banche e banchieri: ci fu una risposta politica. Politica fu la iniziale proposta “rivoluzionaria” di Tremonti, un’unica Autorità sul modello inglese. Politica anche quella successiva “in spirito repubblicano”, riformare contestualmente Bankitalia e la legge sul falso in bilancio. Il proposito non era di chiudere la stalla per evitare che altri buoi potessero scappare, ma di chiudere un’epoca. Il Paese aveva bisogno che il sistema del credito venisse gestito in un modo diverso: l’art.47 della Costituzione non poteva più essere lasciato al solo giudizio del Governatore, e usato per gestire a suo criterio il consolidamento del nostro sistema bancario. La globalizzazione, l’integrazione europea, si ragionava, richiedono che le ragioni della concorrenza -sui diritti di proprietà, non solo agli sportelli- abbiano un peso diverso. Questi i motivi politici per cambiare governance e funzioni di Bankitalia; e quindi l’uomo al suo timone. Una visione tradottasi negli emendamenti approvati in Commissione alla Camera, respinti in Aula, riproposti (dai soli DS) in Commissione al Senato, ivi bocciati e in attesa di essere ridiscussi e votati in Aula alla riapertura dei lavori: mandato a termine del Governatore, Antitrust competente anche in materia bancaria, (e – da aggiungere- collegialità delle decisioni, secondo lo schema BCE).

Per la seconda “ondata” è come se tutto questo non fosse avvenuto: da qui l’effetto di sfondamento di porte aperte che fanno certe prese di posizione. Per carità, nulla di male a (non ) riconoscere di avere cambiato idea. Il punto è un altro: le due “ondate” condividono solo il titolo delle riforme da introdurre o anche l’obbiettivo politico di fondo? (Naturalmente la domanda non riguarda il Ministro Alemanno: per lui la prima “ondata” era solo una battaglia di potere dalla quale Fazio andava addirittura difeso!).

C’è una radicale differenza tra voler razionalizzare il sistema dei controlli sul sistema finanziario, l’obbiettivo tutto politico di Tremonti, e voler vendicare l’onore perduto del nostro Paese, quale sembra essere l’obbiettivo di Siniscalco. Il primo è coerente con ciò che dovrebbe stare in testa: dare al Paese un sistema bancario in cui viga un diverso sistema di selezionare gli investimenti da finanziare, che si doti di competenze diverse rispetto a quello di cui oggi dispone, insomma il tema con variazioni che si sente in ogni convegno sul “declino”. Temi che si perdono per strada, se le motivazioni per le riforme sono di onorabilità e di credibilità. “L’onor non è un chirurgo”, come dice il Falstaff verdiano. Con la motivazione “politica” ci si muove nella sfera autonoma dei poteri di governo e parlamento, con la motivazione “morale” ci si addentra nel terreno dell’accertamento delle colpe, di pertinenza di autorità e di poteri diversi: lo si è visto con Cirio e Parmalat, lo si vede, per Antonveneta, già nella sentenza del TAR del Lazio del 9 Agosto. La motivazione politica consente di disaccoppiare le decisioni legislative dalla ricerca delle responsabilità, con economia di tempo e di contenziosi. Sempre ai convegni sul “declino”, si fa gran parlare della necessità di essere un paese in cui vige la rule of law: ma uno stato di diritto cambia governatore per motivi di indirizzo politico e non per il contenuto di intercettazioni.

Ci sono, nella seconda “ondata”, incongruenze: fare un sol fascio di tutto, mentre non si capisce per quale ragione l’operazione Unipol non dovrebbe andare avanti. Ci sono contrasti tra ambizioni di completezza e urgenza: inserire le riforme di Bankitalia in una generale riforma delle Authority, un vaste programme con tempi eterni. Non piace l’autoriforma, che però è rispettosa degli obblighi di consultazione con la BCE ( art 105 par 4 del trattato che istituisce la Comunità Europea), e del parere reso l’11 Maggio 2004: strano modo di riconquistare credibilità internazionale, quello di aprire un contenzioso con la BCE. Quote di Banca d’Italia di proprietà di soggetti controllati: il problema è imbarazzante, ma più che altro sul piano formale; è di non facile soluzione, l’obbligo a vendere viene equiparato ad un esproprio incostituzionale. E non sarebbe di buon auspicio iniziare con una nazionalizzazione una riforma volta a introdurre concorrenza nel settore bancario.

Per provare a stringere: sulle riforme da introdurre, siamo certi che le due “ondate” vogliano la stessa cosa? Siamo almeno d’accordo sulla formulazione delle proposte che tra quindici giorni verranno votate in Senato? Sul mandato a termine tutti paiono d’accordo, ma in materia antitrust ci sono silenzi preoccupanti. Si farebbe un passo avanti chiarendo se certi slanci nello sfondare la porta aperta rivelano solo l’imbarazzo per passate disattenzioni, oppure se rimandano ad altre preoccupazioni. Per essere più espliciti, se l’obbiettivo è la modernizzazione del nostro sistema bancario o la chiusura, più in fretta possibile, delle partite aperte.

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