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Quando rileggeremo Giavazzi sul Corriere?

Pubblicato il 26/04/2008 @ 17:45 in Giornali,Il Riformista

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Quando si scrive una lettera, si ha in mente chi la leggerà; quando si scrive un articolo bisogna sapere per chi si scrive. A chi si possono rivolgere oggi i “liberali di sinistra”? Uso questa espressione per indicare gli intellettuali e gli editorialisti che, senza magari neppure considerarsi “di sinistra”, alla sinistra si sono rivolti ritenendo che valesse la pena impegnarsi per sottrarre quell’area politica alla demagogia del “senza se e senza ma”, distoglierla dalle filastrocche consolatrici dell’antiberlusconismo, e farla diventare moderna. Farle che capire che “liberalizzare è di sinistra”, secondo il titolo di un fortunato libro di Alesina e Giavazzi.

Ma è un pezzo che non leggiamo più Francesco Giavazzi sulla prima pagina del Corriere della Sera. Il perché credo che abbia a che fare con l’interrogativo che mi ponevo prima: a chi rivolgersi? L’interlocutore non è più il PD, non può esserlo: e questo proprio perché la “lenzuolata Bersani”, che recepiva l’”agenda Giavazzi” sia pur in modo parziale e l’applicava in modo ancor più approssimativo, è stata il punto più alto di popolarità del Governo Prodi. Se il PD è già convinto, non è più il destinatario di quel messaggio. Si è constatato che la sinistra antagonista da sola non va da nessuna parte e che preferisce accettare il ruolo di minoranza interna; le idee di Ichino, che erano fonte di imbarazzo, sono diventate, nel breve spazio della campagna elettorale, una bandiera da esibire: il PD insomma ha fatto tutte le cose giuste. Ma non è riuscito a sfondare al centro. E finché non dimostra con quale strategia pensa di riuscirci, a che pro armarlo di nuovi argomenti? Non c’è “agenda” che possa sostituire una strategia.

Tutt’altra storia per il PdL. Il libro di Tremonti, “La paura e la speranza”, non è (per primo nelle intenzioni del suo autore) la Critica della ragion pura o il Manifesto del 1848. Ma non c’è stato commentatore, editorialista, politologo che non l’abbia citato, analizzato, discusso. Tremonti ha colto il vento e drizzato le vele: così il suo libro è stato il centro della campagna elettorale. Chi l’ha criticato, deve avere la saggezza di chiedersi perché. Io mi sono dato la risposta: è per la differenza che passa tra una strategia politica e un’agenda programmatica.

Nella nuova semplificata geografia politica italiana, si ha la sensazione che ci sia un troppo vuoto e un troppo pieno. Il troppo vuoto essendo ovviamente il PD, che, abbandonata la tecnica delle aggregazioni, fatta pulizia al proprio intorno e ordine al proprio interno, ora deve trovare una strategia per fare quello che non gli è riuscito: conquistare il centro. Il troppo pieno è il PdL: ha una strategia, ma offre ampio spazio alle proposte. Sotto l’ombrello delle paure e delle speranze, ci sono variegati interessi e modi per soddisfarli: e se ci sono, ci sono certamente politici pronti a raccoglierli. La globalizzazione agisce sull’immaginario e influenza il modo di guardare presente e futuro: ma all’atto pratico è modesta la capacità del nostro Paese di influire sul corso di quegli eventi, ridotto il nostro potere decisorio. Invece ci sono migliaia di imprenditori in questo Paese che guardano ai problemi del mondo come a delle opportunità per chi è più svelto e più intelligente: e ci provano. Siamo e saremo sempre di più un paese di vecchi: ma se è vero che pensionati e impiegati statali sono sovrarappresentati nel PD, nel PdL dovrebbero prevalere quelli che hanno un’idea diversa di dove mettere il confine tra dove può il mercato e dove deve lo Stato, per riferirsi al criterio tremontiano. Per loro il problema dei problemi è la pervasività della presenza pubblica, il cancro di una PA che si mangia le risorse che ci sono e che frena chi potrebbe produrne di nuove: e sanno che questo problema è in ogni caso ben aldiqua dei limiti del mercatismo, comunque li si voglia porre. Ai missionari della liberalizzazione, la sinistra offriva un compito pedagogico chiaro, rimuovere dei tabù ideologici. È un compito più difficile rimuovere ostacoli che hanno la solidità delle cose che ci sono, che bene o male funzionano. È più incerto quando la prima riforma è essere coscienti che non esistono piani regolatori.

“Liberalizzare è di sinistra” era un bel titolo, era l’uomo che morde il cane. E’ il caso di accorgersi che “Liberalizzare è di destra” è tutto fuorché il cane che morde l’uomo.

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