Quadrare il cerchio fra euro e consenso

settembre 17, 2012


Pubblicato In: Varie


La decisione della BCE di acquistare in quantità “illimitata” titoli con maturità inferiore a 3 anni degli stati che ne fanno richiesta, può forse ridurre il costo del servizio del debito, ma non elimina il problema vero, il debito. Per questo le alternative sono solo o inflazione o ristrutturazione. Delle due, quest’ultima è di gran lunga preferibile: purché venga fatta in tempo.

E’ quanto sostengono Harald Hau e Ulrich Hege, due economisti tedeschi, entrambi dottorato a Princeton, cattedre in America e in Inghilterra, in un articolato saggio sulla Frankfurter Allgemeine Zeitung del 14 Settembre, che qui si sintetizza.

1-La strategia della BCE è senza prospettive.Infatti i mercati finanziari valutano i debiti sovrani in base al rischio di insolvenza e chiedono un premio anche se il debito è detenuto per il 90% da MES e BCE. Quindi a lungo andare gli acquisti da parte della BCE non hanno nessun effetto positivo sui costi di finanziamento degli stati indebitati: è quello che è successo nel caso della Grecia, dove la banca centrale ha comperato debito pubblico per 60 miliardi senza avere stabilmente influenzato i mercati. Con i suoi acquisti la BCE assume importanti rischi di insolvenza di cui rispondono solidalmente tutti i paesi dell’eurozona. Quanto maggiore è la parte di rischio che gli investitori di un paese scaricano sulla BCE, tanto maggiore diventa l’interesse di quel paese a fare default: gli acquisti della BCE, non rendono meno verosimile il rischio di insolvenza, al massimo lo spostano nel tempo. La “condizionalità”, gli impegni che si assumono i Paesi per potere accedere al programma, diventano presto carta straccia: quanto più la BCE diventa il principale creditore di uno stato, quanto più la capacità di ripagare il debito diventa un suo problema, tanto più è ricattabile. Dato che la BCE acquista solo titoli con maturità inferiore a 3 anni, i paesi indebitati hanno interesse a indebitarsi a scadenze brevi. Questo aumenta la loro dipendenza dai mercati e quindi la BCE dovrà intervenire su titoli a scadenze sempre più brevi.

2-Il debito totale, somma di quello privato più quello pubblico, quando eccede un certo limite, scoraggia gli investimenti e ostacola la crescita.Citare lo studio di Reinhart e Rogoff è diventato d’obbligo parlando di debiti sovrani, della loro frequenza e delle loro conseguenze e gli autori prestano il dovuto tributo a questo ormai classico testo.

3-L’inflazione assomiglia a un bombardamento a tappeto; al confronto, il taglio ordinato del debito è meno iniquo.Un aumento dell’inflazione di 3 punti percentuali per 10 anni di fila produce cumulativamente un taglio del debito del 34%. Questo si abbatte indifferentemente su tutti i creditori pubblici e privati, e quindi impone ai risparmiatori un onere molto superiore a quello che sarebbe necessario. Il taglio del debito invece offre molte più possibilità di modulazioni: si può fare riducendo il valore nominale del titolo oppure allungandone la scadenza. Se titoli a medio termine vengono scambiati con titoli a lungo, con tassi di interesse moderati, il risparmio può essere considerevole. Per i creditori privati – banche, fondi di investimento, singoli investitori – che hanno una posizione negoziale debole, la strategia migliore è quella di trasferire il proprio rischio agli stati solventi dell’eurozona. E’ esattamente quello che fa il fondo salvastati, che per questo è entusiasticamente sostenuto dagli investitori finanziari. Ma il risultato è di trasformare la crisi da debito di alcuni nella crisi da debito di tutti, senza nessun vantaggio netto per l’eurozona nel suo complesso. La ricchezza finanziaria è molto concentrata, il 90% è nelle mani del 5% della popolazione. Per questo, la tesi sostenuta dalle grandi banche, che il salvastati proteggerebbe i patrimoni dei normali cittadini, per esempio le loro assicurazioni sulla vita, nasconde in realtà un gigantesco trasferimento dai contribuenti ai possessori di ricchezze finanziarie.

4-L’alternativa della ristrutturazione è realistica e comporta vantaggi.Il taglio del debito in Grecia, nonostante le più nere previsioni, si è verificato in modo ordinato e senza gravi turbolenze nei mercati. Il panico temuto non c’è stato. I debiti sovrani sono prevalentemente di diritto del paese emittente (più del 96% in Italia e del 99% in Spagna), e quindi possono essere modificati con leggi nazionali. Inoltre in tutti i paesi indebitati il debito primario si è ridotto, in Italia addirittura ci dovrebbe essere un avanzo. In queste condizioni la ristrutturazione del debito è un’autentica alternativa politica, anche se ha come conseguenza l’impossibilità per i paese di ricorrere ai mercati finanziari per un certo tempo. Sono operazioni su cui si dispone di una quantità imponente di studi teorici e di riscontri empirici: l’esperienza dimostra che i costi per l’economia sono di breve durata e che la ripresa si ha già dal secondo anno. Inoltre:
- gli investitori privati pagano le conseguenze delle loro decisioni, e quindi diventano più prudenti per il futuro
- se fatto in tempo, una parte del costo del taglio va a carico di soggetti non dell’eurozona
- i costi sono sopportati soprattutto da investitori abbienti, e il taglio può essere strutturato in modo da lasciare indenni i piccoli risparmiatori
- il fatto che al paese che vi fa ricorso sia inibito l’accesso al credito, si traduce in una automatica disciplina di bilancio; se si solleva la BCE o chi per essa dal compito di imporre il rispetto di condizionalità, si evita di avvelenare il clima politico.

5-Ricapitalizzare le banche.La crisi bancaria è l’inevitabile conseguenza della ristrutturazione del debito: infatti le banche nazionali devono abbattere il valore dei titoli di debito pubblico di cui si sono caricate ancor più in conseguenza delle operazioni LTRO del Novembre 2011 e Febbraio 2012, e quindi devono essere ricapitalizzate. Ma la strumentazione per farlo è nota, è stata usata con successo anche di recente in Nordamerica e in Scandinavia: comprende trasformazione di debito in capitale, rinuncia alla distribuzione di dividendi, emissioni forzosa di nuove azioni. Il rischio vero è per le banche degli altri paesi, che esse pure devono svalutare i titoli in portafoglio: ma molte banche europee hanno notevolmente ridotto la loro esposizione a titoli esteri già dal 2011. Anche i CDS per i 5 stati indebitati del sud Europa si sono ridotti da 66 miliardi a gennaio 2010 a 42 miliardi nell’agosto 2012, che corrispondono a meno dell’1,5% del totale del debito sovrano di questi paesi.

6-Invece la BCE… L’importante è che il taglio del debito sia effettuato prima che la BCE o il MES si siano accollati un rilevante rischio di credito. La chiave è nelle mani della BCE, che può esercitare una pressione notevole su uno stato indebitato, rifiutandosi di prendere i suoi titoli come collaterale. Ma l’eventualità che usi questa chiave non sembra probabile: Jean-Claude Trichet ha fatto di tutto per ritardare l’insolvenza della Grecia, e questa sembra essere ancora l’opinione prevalente. Nella conferenza stampa del 6 Settembre, Draghi non ha neppure nominato la possibilità di una ristrutturazione del debito, ed è dubbio che fosse per il timore che partecipare a un taglio venga considerato equivalente al finanziamento a uno stato. Draghi giustifica l’acquisto di titoli degli stati indebitati in quanto necessario per la sopravvivenza dell’euro. Sussiste invece il pericolo inverso: che l’euro non sopravviva se non è sostenuto da un adeguato consenso politico degli elettori. E se i costi delle insolvenze dei paesi in crisi si cristallizzassero come attivi tossici nel bilancio della BCE, la reazione delle opinioni pubbliche, soprattutto negli stati del nord Europa, potrebbe essere devastante. La BCE fa correre un grosso rischio all’euro.

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