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Progressisti, basta giocare in difesa

Pubblicato il 22/06/1994 @ 17:47 in Varie


E’ noto da tempo che le preferenze politiche non si dispongono lungo una linea, ma che occupano uno spazio che contiene anche altre direttrici: con qualche rozzezza semplificatoria possiamo immaginare un asse innovazione-conservazione in tradizionale destra-sinistra. La prima polarità è dotata oggi di un potenziale di attrazione assai maggiore dell’altra. Le forze progressiste apparivano ancora a dicembre ’93 posizionate sull’asse dell’innovazione: è successo che con la famosa ‘discesa in campo’ di Berlusconi, in pochi mesi il cosiddetto polo delle libertà è riuscito a occupare prepotentemente il quadrante dello spazio delle preferenze politiche. Questa, e non l’alleanza con Rifondazione, è la vera causa della sconfitta elettorale dei progressisti.

La situazione che si presenta oggi è quella di una maggioranza che ha occupato stabilmente il quadrante della innovazione, dell’efficienza, della liberazione da vincoli materiali e da pregiudizi ideologici. Il controllo di quel quadrante dello spazio politico consente a Berlusconi di far passare le proprie ambiguità: l’annullamento della pregiudiziale antifascista, accanto allo sfruttamento di quella anticomunista; il liberismo accanto al monopolio privato nell’ informazione televisiva; il nuovo leghista accanto all’eredità craxiana; l’efficientismo accanto all’autoritarismo aziendale.
L’opposizione occupa invece il quadrante dei valori tradizionali della sinistra: l’antifascismo come valore fondan-te della legalità repubblicana, le regole e le garanzie, la protezione dei diritti di cittadinanza. Risposte inefficaci, perché non disposte sull’asse dove si collocano le aspettative e le sensibilità forti della popolazione.
Rispondendo in termini di valori a chi sfida in termini di innovazione, alla sinistra non vengono perdonate le sue proprie ambiguità: la contiguità con il passato regime, il mancato rinnovamento del personale politico, la solidarietà degenerata in assistenzialismo, un rapporto privilegiato (seppur dialettico) verso la grande industria privata e pubblica. E ogni sua risposta (che di solito si esprime in termini di «sì, ma…») la sospinge sempre più verso il quadrante della conservazione, o dello statu quo.
La sinistra si trova oggi prigioniera di un gioco di cui non riesce a prendere l’iniziativa: e la situazione viene sfruttata da Berlusconi. Quotidianamente giornali e televisioni ci riportano iniziative, sue o dei suoi alleati: Fini per cui la libertà è un optional, Taradash che denuncia i vertici Rai, Berlusconi stesso con la richiesta che l’ordine regni a Saxa Rubra.
E quotidianamente la sinistra viene inchiodata nella sua battaglia difensiva, doverosa quanto inutile. Quotidianamente essa si ripropone la domanda se questo è un regime mascherato da innovazione, o una modernizzazione che si deve liberare da scorie pericolose; se l’autoritarismo ne è l’esito inevitabile, o discende dall’insofferenza di chi ancora pensa che un paese si possa governare come si conduce un’impresa; se si deve fare opposizione all’inglese o preparare le barricate. Sul piano personale, chi vorrebbe aiutare a introdurre una moderna cultura di mercato nel nostro paese, si domanda se deve ricercare un improbabile interlocutore tra le forze di maggioranza o… iscriversi a Rifondazione comunista.
Non si tratta ovviamente di abbassare la guardia rispetto a pericoli reali, a involuzioni possibili ma forse ancora non inevitabili. Si tratta di riconoscere che la battaglia principale si svolge per il possesso di un altro quadrante dello spazio politico e che su quello occorre saper prendere l’iniziativa: dopotutto questa destra, populista e plebiscitaria, clericale e integralista farà pur qualche fatica a essere contenuta nel progetto moderno, a cui, come ricordava Salvati, destra e sinistra sono interne.
«Da oggi la smetteremo di interrogare Fini sulla sua disponibilità a rompere con quel tanto di esperienza fascista di cui il suo partito è stato portatore», scriveva Gad Lerner commentando l’incredibile affermazione di Fini secondo cui «ci sono fasi in cui la libertà non è tra i valori preminenti». Ma non c’è contraddizione tra il credere che questo proble-ma continuerà a condizionare la costruzione del nuovo edificio della destra italiana, e il decidere di scommettere sulle sue convinzioni: che proprio il progetto moderno pone problemi sui quali la sinistra ha qualcosa da dire.
Forse è il caso di ricordare che tra il 28 Ottobre ed il 3 Gennaio non sono passati tre mesi, ma tre anni: se vogliamo impiegarli bene, non c’è tempo da perdere.

P.S. Questo articolo era stato scritto quando l’on.le Francesco Storace, con la sua sparata contro i direttori dei prin-cipali giornali nazionali, ha creduto di dare un’imprevista conferma alla nostra allusione: forse a questo punto occorrerà rivedere i tempi. E proprio lunedì 13 giugno Achille Occhetto, fino a quel momento discusso segretario del Partito democratico della sinistra, ha voluto dare le dimissioni: vedi caso, è successo proprio tre mesi dopo le elezioni politiche.

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