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Privatizzare l’Enel

Pubblicato il 30/07/1999 @ 12:11 in Giornali,La Stampa


Provate a chiedere a un amico di dire, con una parola sola, che cosa significa privatizzare, nove su dieci vi dirà: vendere. Vendere vuol dire (di solito) incassare danaro. Per farne cosa? Qui non ci sono dubbi, la legge è chiarissima: tutti i proventi delle privatizzazioni devono andare a ridurre il debito pubblico.

Invece, in barba al dizionario e alla Gazzetta Ufficiale, rischiamo di assistere ad una privatizzazione in cui lo Stato non vende e in cui il debito pubblico, anziché ridursi, aumenta.

La singolare storia ha come protagonista l’Enel e inizia con un’affermazione perentoria: l’Enel non si privatizzerà mai. Se soltanto se ne parla, Rifondazione fa cadere il Governo. Prodi non ne parla, e Rifondazione lo fa cadere lo stesso. Nella scissione che ne consegue, il copyright dell’anatema passa agli scismatici Comunisti Italiani. Nerio Nesi non minaccia di far cadere D’Alema, ma neppure D’Alema ci tiene più di tanto a vedere il suo gioco. Non fosse che interviene Bruxelles: dovete liberalizzare il mercato, Enel deve vendere parte delle sue centrali.

Semplice, pensa il nostro amico: si sceglie un certo numero di centrali, si comprano pagine di Financial Times e del Wall Street Journal, una bella asta, i soldi affluiscono al Tesoro, un pacco di Bot finisce nel caminetto di Via XX Settembre. Troppo semplice, pensano all’Enel: perché invece non costituire un paio di società, apportargli centrali e personale, e vendere le società? Perché non si può vendere un pezzo di centrale, la ciminiera di una, la turbina di un’altra, mentre le azioni delle società si possono vendere come si vuole. Sì, ma quanto venderete? Una parte, una grossa parte, quasi tutto, vedremo, dipende dal mercato, non si deve svendere: ma cosa pretendete, incontentabili giacobini liberisti?

I giacobini a dire il vero si accontenterebbero che il ricavato andasse al Tesoro. Ma quale ricavato, ribattono all’Enel, mica si sta vendendo un pezzo di Enel, noi stiamo vendendo pezzi di società nostre, il Tesoro non c’entra. Anzi il Tesoro deve ringraziarci, perché un’Enel così vale di più, consentirà di incassare di più: quando lo permetteranno Nesi, i sindacati e i tanti statalisti che si nascondono dietro le loro spalle. E intanto quei soldi – qualcosa come 15.000 miliardi – noi dell’Enel li investiamo: già siamo nei telefoni con Wind, entreremo nell’acqua, e poi nel trattamento dei rifiuti, svilupperemo sinergie, andremo all’estero, faremo dell’Enel una grande azienda di servizi, una delle poche grandi industrie nazionali.

Il nostro amico è perplesso: ma l’Enel non è del Tesoro, non è il Tesoro che ci chiede sempre nuovi sacrifici perché abbiamo un debito enorme, e anche se adesso i tassi sono bassi potrebbero di nuovo salire?

Il nostro amico si ricorda di come sono cresciuti l’Eni e l’Iri e le Partecipazioni statali, e come erano cresciuti i debiti a forza di investire, ricorda quanto ci è costato uscirne. Il nostro amico crede nel dizionario e nella Gazzetta Ufficiale; sa che per il dizionario privatizzare vuol dire vendere, e per la Gazzetta Ufficiale vendere vuol dire incassare.

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