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Privatizzare, la rosa ha troppe spine

Pubblicato il 03/04/2001 @ 13:49 in Giornali,Il Sole 24 Ore


Chiunque vinca, il problema dei problemi sarà sempre la Rai

Nel clima di rissa che sembra essere ormai una caratteristica di questa campagna elettorale, legare le due coalizioni a impegni netti in tema di privatizzazioni e liberalizzazioni sembra ogni giorno più difficile. Cerchiamo quindi di ragionare piuttosto in termini di probabilità, sulla base dei verosimili interessi dei due contendenti. Propongo una suddivisione in categorie.

Nella prima categoria stanno ENI, Enel e Alitalia.. E’ verosimile che, chiunque vinca, venda tutto abbastanza rapidamente. Se la Casa delle Libertà non lo facesse sarebbe clamoroso, e l’Ulivo di Rutelli può ormai proseguire senza lacerazioni sulla strada dell’Ulivo di Prodi. Massima probabilità all’ENI: lo vuole l’azienda, il mercato lo recepirebbe bene; e per quanto riguarda gli approvvigionamenti energetici, dovrebbe essere ormai chiaro che un Paese non può dipendere da un’azienda sola.
Analogo, solo forse un po’ più lungo, il percorso per l’Enel. Franco Tatò spingerà per una soluzione che gli garantisca l’indipendenza, ma non penso che si opporrà. E poi sul suo futuro si fa più di una ipotesi. Per Alitalia, il problema non è più ideologico, ma di conti economici: più sono catastrofici più sarà difficile parare l’accusa di “svendere”.

Seconda categoria: Poste, Finmeccanica e treni. Ciò che me li fa mettere nello stesso “lotto” è la dipendenza dalle decisioni degli altri paesi. Che ragioni di sicurezza nazionale impongano che il settore difesa di Finmeccanica sia controllata dallo stato, è senza alcuna logica. Ma tant’è, credo che venderemo solo quando venderanno anche gli altri paesi europei.
Per le Ferrovie la concorrenza sui treni sta timidamente partendo.
Le Poste saranno il vero banco di prova della volontà liberalizzatrice del prossimo Governo. L’azienda va abbastanza bene, e potrebbe benissimo essere privatizzata. L’abilità del Tesoro sarà nel trovare l’assetto proprietario: è elevato il rischio che si finisca per gabellare una vendita parziale con sostanziale controllo statale come se fosse un primo passo verso l’araba fenice della public company.

Terza categoria: gli ambiti locali. Il Senato ha faticosamente approvato una legge quadro sui servizi pubblici locali, che si è arenata alla Camera. Nel frattempo la legge si sta svuotando dei suoi contenuti più importanti, perché le grandi municipalizzate di Torino, Milano, Roma, Brescia, Genova, si stanno muovendo per conto loro. Entrano nuovi soci, ma i Comuni gelosamente si tengono il loro 51%. Se scendessero sotto la mitica soglia, dovrebbero mettere a gara le forniture pubbliche: così si difendono dalle accuse di non voler privatizzare. Ma se, pur avendo un vantaggio informativo enorme rispetto ai concorrenti, hanno paura di perderle, vuol dire che sanno di essere troppo care. Sono i cittadini che dovrebbero insorgere per non pagare più questa tassa occulta.
Le fondazioni bancarie si sono conquistate un ruolo di primo piano negli equilibri della maggiori banche italiane: una situazione che non ritengo facilmente modificabile. C’era una finestra di opportunità di intervenire in queste materie, e si è chiusa. Adesso ci si mettono anche le norme approvate in tema di federalismo. Tremonti ha detto di voler abrogare la legge: ma questo non porterebbe nessun vantaggio, e non si sa bene da quale legge dovrebbe essere sostituita.

Rimane il problema dei problemi, la RAI: che meriterebbe di essere trattato a parte, che dovrebbe trovare posto nella rubrica della politica piuttosto che in quello dell’economia. Ormai è chiaro a tutti che il problema di garantire il pluralismo dell’informazione indipendentemente da chi vinca le elezioni si risolve solo dal lato RAI. L’Ulivo ha provato a risolverlo dal lato Mediaset, con la legge sul conflitto di interessi che è stata approvata solo al Senato. Ma l’esame del testo e le cronache della discussione in Senato sono lì a dimostrare che i costi politici per risolverla il problema in radice sono proibitivi.
Dopo Luciano Violante, oggi sono in tanti a sinistra che rimpiangono di non aver seguito la strada di vendere due reti. Quanto alla Casa delle Libertà, e’ chiaro che ha tutto il vantaggio in una situazione che lascia libertà a Mediaset e sottopone la RAI alle cure della Commissione di Vigilanza. Inchiodare l’opposizione in un ruolo censorio potrebbe essere una tentazione irresistibile. Se è così non resta che attendere l’avverarsi della previsione che mi fece poco tempo fa un autorevolissimo personaggio dell’azienda pubblica: i conti della RAI non possono che andare peggio, e saranno i numeri a obbligare a prendere qualche decisione.

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