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Politici, attenti alle invasioni di campo

Pubblicato il 23/08/2005 @ 13:29 in Giornali,La Stampa

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Qual è il comportamento corretto che deve tenere una forza politica di opposizione di fronte a un’iniziativa economica rilevante? Ora che il flusso delle intercettazioni sembra essersi rallentato e il fuoco della questione morale posto sotto controllo, c’è il distacco necessario per fare qualche considerazione di natura generale sul tema del rapporto tra “politica e affari”.

Un partito di opposizione dispone di un solo strumento: orientare l’opinione pubblica, incominciando dai suoi elettori. L’opposizione non ha leve di potere da azionare, né palesi né occulte: la sua arma agisce solo in quanto è visibile. Non è un’arma da poco, i mercati finanziari sono fortemente influenzati dall’opinione pubblica.
Neppure il più ortodosso dei liberisti, preoccupato che la politica non interferisca con il giudizio degli operatori e non turbi la libertà dei mercati, arriverebbe al punto di pretendere che la politica ignori del tutto gli affari, che tra le due sfere ci sia una totale separazione.; ma il politico deve essere avvertito del pericolo di sostituirsi agli operatori nelle materie di loro competenza.
Neppure il più rigoroso dei moralisti arriverebbe a chiedere che la politica debba operare “sotto il velo di ignoranza” della natura specifica di ogni “affare”. Ma il politico deve guardare al loro effetto sui beni pubblici: sono questi la sua responsabilità primaria.
Da queste semplici considerazioni, sui mezzi di cui dispone una forza di minoranza, e sui limiti e obbiettivi della sua azione, si possono dedurre alcune risposte precise alla domanda che ci siamo posti.
Primo. Non deve esprimere giudizi sulla validità economica dell’operazione. Non deve farlo per la stessa ragione per cui l’economia centralizzata è meno efficiente di quella di mercato: perché dispone di meno informazioni. Perché mai un politico nel suo ufficio dovrebbe sapere meglio di chi gestisce quotidianamente un’azienda se è più conveniente- per l’azienda s’intende- investire, per esempio, in supermercati anziché in una banca? Non ho avuto l’impressione che i colleghi che ho sentito pronunciarsi con sicurezza su ciò che conveniva alla Unipol, avessero passato le ultime giornate a documentarsi su analisi della struttura del mercato della grande distribuzione. Ma anche se così fosse, le strategie di un’azienda le propone il management e le approva l’assemblea dei soci: che diritti ha un politico di sostituirsi a loro? E se sbaglia, con quali mezzi risponde a loro del suo errore? Peggio ancora, che diritto ha di influenzare i mercati finanziari in un senso o nell’altro?
Secondo. La politica non deve esprimere giudizi neppure sulla congruità finanziaria dell’operazione. I politici non hanno titolo per sostituirsi ai mercati finanziari, che dispongono di più informazioni, che hanno motivi concreti per usare prudenza nel valutare e uno strumento efficace per esprimere giudizi: il tasso d’interesse a cui prestano i soldi.
Terzo. La politica non deve neppure esprimere giudizi sulla legittimità degli atti degli operatori. La politica già nomina le autorità indipendenti, fissa le norme della loro attività, fa le leggi e rispetta l’autonomia della magistratura che le fa osservare. Il controllo politico è sulla osservanza delle regole da parte delle autorità, non consiste nel sostituirsi ad esse nel giudicare i comportamenti degli operatori. Altrimenti in che consisterebbe la loro autonomia?
Quarto. La politica non deve fare al posto degli altri le cose facili che non le competono; deve invece fare quella difficile che è solo sua: valutare le conseguenze degli “affari” sugli assetti complessivi del sistema economico. Incominciando da quelle sulla concorrenza: l’”affare” aumenta la concorrenza, cioè la libertà degli individui di entrare nel mercato? L’Antitrust agisce ex post, per sanzionare chi è già nel mercato e del suo potere per restringere la concorrenza: ma la politica è la sola che può agire ex ante per tenere aperte le porte che rendano possibile l’ingresso a nuovi operatori. Si lamenta l’esiguo numero di nostre imprese e imprenditori, l’asfissia di un mercato poco dinamico: si persegue un bene pubblico evitando che chi ha già potere di mercato sbarri la strada ai newcomer.
Nelle recenti vicende, in particolare in quella BNL, per cui i DS sono stati chiamati in causa, queste semplici considerazioni sarebbero forse servite a evitare molti malintesi e gravi strumentalizzazioni.

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