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Più concorrenza per più integrazione UE

Pubblicato il 27/02/2019 @ 09:36 in Giornali,Il Sole 24 Ore


Dare al Consiglio Europeo il potere discrezionale di disattendere le decisioni della Commissione: la proposta del ministro delle Finanze francese Bruno Le Maire parve dettata da risentimento per lesa maestà. Come osava la Commissione Europea bocciare il progetto, sponsorizzato dai rispettivi governi, di fondere le attività ferroviarie di Alstom e Siemens? Ma quando dopo soli 15 giorni, la proposta la si ritrova nel Manifesto franco-tedesco per una politica industriale europea adatta al 21esimo secolo è chiaro che essa fa parte di un progetto più ampio, concordato con il collega tedesco, volto a “modificare le regole della concorrenza per consentire alle imprese europee di competere su scala mondiale”. Con il che passano in secondo piano i principi che consideravamo consustanziali all’idea stessa di unione sovranazionale, fare dell’Europa uno spazio economico aperto alla concorrenza, avendo il beneficio per il consumatore come metro di giudizio.

“Tra le quaranta più grandi imprese del mondo, solo cinque sono europee”: questa sembra invece essere la preoccupazione dei redattori del Manifesto. A tal fine esso prevede “massicci” investimenti in “disruptive innovation”; si dà l’obbiettivo di “diventare leader mondiale di Intelligenza Artificiale”; vuole finanziare altri IPCEI (Important Projects of Common European Interest), oltre la microelettronica e le batterie.

Peter Altmaier, ministro federale dell’economia e dell’energia, la sua Nationale Industriestrategie 2030 l’aveva presentata il 5 Febbraio, il giorno prima della sentenza Alstom-Siemens: ad esser presa di mira è la disciplina degli aiuti di stato. Il confronto questa volta è con le prime venti società tecnologiche mondiali: undici americane, nove cinesi, nessuna europea; l’obbiettivo è aumentare il peso dell’industria dall’attuale 23,4 al 25%; il mezzo è un ruolo più attivo dello Stato. E quindi: difesa di ogni posto di lavoro; costruzione di campioni nazionali; costituzione di un fondo anti-scalate per entrare nel capitale di imprese strategiche a rischio di acquisizione estera; interventi statali per “compensare gli effetti negativi della concorrenza”, cioè ripristinando condizioni di parità su prezzi dell’energia, sulle imposte, sui contributi sociali.

Sono solo proposte, ma il cambiamento è impressionante. La politica economica europea è stata costruita sulla confluenza del pensiero liberale britannico e dell’ordoliberismo tedesco: lo Stato detti le regole, comprese quelle della concorrenza, al resto pensa il mercato; se si modificano i rapporti tra politica industriale e politica della concorrenza, si toccano i capisaldi della costruzione europea. La parola d’ordine, alla Trump, è diventata “make Europe great again”, come titola l’Economist?

Il fatto è che la Germania nel 2018 ha esportato in Cina prodotti di alta e media tecnologia per €200 miliardi comprando beni di consumo a prezzi favorevoli: ora si accorge che le imprese cinesi, fruendo di generosi aiuti statali, risalgono la catena del valore, e ora comperano aziende in Europa. “Gli industriali i tedeschi che, secondo il deputato FDP Alexander Graf Lambsdorff, citato dall’Economist, volevano solo che il governo si levasse dai piedi, ora trovano che recitare Hayek potrebbe non bastare”

Ma per questo è proprio necessario snaturare le leggi sulla concorrenza? La fusione tra due imprese concorrenti è già consentita se serve ad aumentare le vendite nei mercati internazionali, con ricadute positive sull’occupazione: peccato che un caso siffatto non si sia mai verificato. Se due aziende, per espandersi in mercati stranieri, vogliono coordinare le proprie operazioni all’estero, è lecito formare joint venture. Ma se per creare campioni nazionali si riduce la concorrenza, a soffrirne è la competitività dell’impresa stessa: nel breve periodo perché porterebbe a un aumento dei prezzi a danno di clienti e utenti; e nel lungo, perché la minore pressione competitiva porterebbe minori incentivi ad innovare e investire. L’unico vantaggio sarebbe politico-elettorale, per definizione a brevissimo termine.

“L’Europa ha bisogno di più, non meno concorrenza”: l’appello di Massimo Motta e di Martin Peitz, è firmato da 50 esperti di antitrust. Le imprese europee avranno successo nei mercati mondiali se si abbassano i costi di fare impresa e se le nuove idee hanno possibilità di avere successo. “E questo richiede autorità della concorrenza indipendenti e vigili nell’intervenire quando le imprese esistenti progettano fusioni che danneggerebbero i consumatori”. Richiede anche che si eliminino le barriere al formarsi di un vero mercato integrato europeo. Invece proprio barriere erigono gli sdegni e le lamentazioni che quasi sempre accolgono le aggregazioni infraeuropee, quelle progettate e quelle realizzate, che si tratti di navi o di occhiali, di banche o di moda. Il sovranismo europeo, anche a giudicarlo positivamente, non si realizzerà mai come inviluppo dei sovranismi nazionali.

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