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Pereira è l’uomo giusto per la Scala, non sa cantare ma sa far cantare

Pubblicato il 06/06/2013 @ 12:55 in Giornali,Il Foglio


Fu uno schiaffone a cambiargli la vita. Il giovane Alexander aveva una bella voce da basso, e una passione incontenibile per cantare. Ma Pereira padre voleva che il suo figliolo facesse qualcosa di serio nella vita, lo fece assumere all’Olivetti Deutschland, dove allora c’era Franco Tatò. Berlino, Francoforte, calcolatori da vendere di giorno, lezioni di canto nel tempo libero, Con Alexander Pereira, una volta che me lo portarono in ufficio, ci capimmo subito: dopo poco eravamo lì a parlare del Don Carlo. Molto brillante nel salire i gradini della carriera in azienda, lo era un po’ meno nel calcare le tavole del palcoscenico. Finì che una volta, dopo una recita che egli stesso definisce disastrosa, il soprano, incrociandolo davanti a camerino, gli appioppò un sonoro ceffone. “Allora ho capito che il mio mestiere non era cantare, ma far cantare.” La sola parte in cui Pereira continua ad esibirsi, famoso e apprezzato, è quella dello Haushofmeister nella Ariadne auf Naxos di Richard Strauss: che, come è noto, non canta, ma recita. Ma è lui che organizza lo spettacolo.

Ariadne, Zerbinetta, Edita Gruberova, Zurigo: e a Zurigo lo rividi. Vi era arrivato nel 1989, dopo 5 anni alla Konzerthausgesellschaft di Vienna. Ogni volta che ritornavo all’Opera, avevo questa netta sensazione di un rapporto molto stretto della città col suo teatro. Sull’economia dei teatri lirici sono stati scritti paper classici, Zurigo è un caso limite: i contributi da sponsor, prima quasi inesistenti, sono diventati con Pereira quasi il 20% di quelli pubblici, il ricavo da biglietti è arrivato a coprire il 35% dei costi, gli spettatori sotto i 25 anni dall’8% sono diventati il 22%. E 200.000 bambini (in una città che ha 350.000 abitanti) hanno assistito a opere in versione ridotta, portate in giro per la città. Dicevano che i teatri di repertorio, come è l’Opera di Zurigo, cioè quelli che hanno la loro compagnia di canto per eseguire tutto il cartellone, sono destinati al declino perché non riescono più a produrre qualità: inserendovi dei giovani, con contratti pluriennali che gli diano tempo di crescere, Pereira ha dimostrato che si possono avere risultati di altissima qualità. I teatri di stagione, come la Scala, dice, “tendono ad essere egoisti”, ingaggiano le star, e queste vengono, stanno qualche settimana e se ne vanno. I teatri di stagione mirano alle punte di eccellenza: “ma non ci può essere altezza senza una base adeguatamente larga”. Di nuovo i giovani, par di capire.

Salisburgo è un’altra storia: il più importante festival del mondo è, economicamente, ancora di più un caso limite, i biglietti coprono i 50% dei costi, i contributi degli sponsor superano quelli pubblici. Ma per conservare questa unicità bisogna che ogni anno porti un segno che per la sua unicità si faccia ricordare: le novità devono quindi ritornare ad essere la regola, le riprese l’eccezione.

“Sono amico di tutti i più grandi cantanti, direttori, registi del mondo: è frequentandoli che vengono le idee nuove, le proposte di letture diverse dei testi e delle partiture: questo è il mio valore aggiunto, sarebbe sciocco sprecarlo”.

Intanto mi arrivavano le agenzie dei sindacati: parlano di “funzione pubblica del teatro”, vigileranno su ogni “intenzione di privatizzare la Scala”, sono critici verso “una discussione fatta nel chiuso di una stanza, incentrata sul nome del sovrintendente senza legarlo a un progetto artistico”, vogliono che Pereira “decida di avvalersi di un direttore artistico“. Chiudo l’iPad: ci sarà tempo, che si goda la giornata.

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