Perché questa destra va aiutata

febbraio 24, 2008


Pubblicato In: Giornali, Il Sole 24 Ore

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Programmi di governo PdL

Aria di interventismo mentre manca una visione complessiva del Paese e delle soluzioni per riavviare la crescita

Più alla Ségolène che alla Sarkozy: questa è l’impressione che si ricava leggendo la bozza del programma elettorale del PdL, anticipato ieri dal quotidiano Libero.

Scontiamo pure il fatto che, nelle campagne elettorali, i programmi si collocano a metà strada tra la concretezza delle liste, e l’immaginario degli slogan, finendo sovente per avere più la vaghezza degli uni che la solidità delle altre. Ma colpisce l’aria di interventismo, si direbbe di conformismo socialdemocratico che viene dalle oltre cento voci raggruppate nel “decalogo di Silvio”. In cui la minuzia delle proposte rivela l’assenza di una visione complessiva del Paese, adeguata a far da leva per suscitare le motivazioni necessarie a farci uscire dalla difficilissima situazione, tra bassa crescita e alta inflazione, in cui ci troviamo.
Spulciando qua e là: in testa in testa, addirittura alla voce a) del punto 1, troviamo “dazi e quote”, da chiedere a Bruxelles per “difendere” la nostra “produzione”. Viene da chiedersi quale sprone ne trarranno i nostri imprenditori per investire in innovazione e a proiettarsi sui mercati emergenti.
Per la casa: costruirne 100.000 di edilizia popolare e a canone controllato sembra perlomeno in contraddizione col proposito, enunciato poco oltre, di privatizzare il patrimonio immobiliare.
La Sanità è forse il più grave dei problemi della Pubblica Amministrazione, per sprechi e disservizi. Ma nei 5 commi (contro i 23 della famiglia) uno è dedicato al “riconoscimento di tutti gli appartenenti al Servizio Sanitario Nazionale”. Sulla necessità di controllare la spesa, e di investire sulla qualità attraverso elementi di competizione col privato, non una parola.
Si ripropone la Banca del Sud: e si intravvede il reingresso dello Stato nel mondo bancario, magari attraverso la Cdp.
Si parla del “cinque per mille ambientale”: non si capisce bene che cosa dovrebbe finanziare, ma non lascia presagir nulla di buono.
Sulle Università, si propone di trasformarle in Fondazioni. Ma non un parola sui criteri di selezione e retribuzione dei docenti: ci vuole ben altro che i vaghi accenni ai criteri meritocratici.
Sul lavoro, la parte politica che ha varato la legge Biagi e combattuto invano la battaglia sull’articolo 18, non dice una parola. Anzi, commentando la candidatura di Pietro Ichino, Giulio Tremonti ha fatto sapere che quella battaglia la lascia alla sinistra.
Ho lasciato fuori il capitolo fiscale, e può apparire non equo per una forza politica che ne ha fatto la punta della propria lancia: lo stesso dicasi per la ristrutturazione del conto patrimoniale di Stato e Regioni, e il riequilibrio tra attivi e passivi, un copyright di Tremonti. Ma in materia contano i saldi, e qui di numeri se ne vedono pochini, per quanto riguarda sia le entrate sia le spese. Vedremo le quantificazioni che puntualmente questo giornale confronta e aggiorna.
C’è un altro motivo per cui tralascio il tema del fisco: i difficili mesi (anni?) che ci aspettano porranno vincoli tremendi ai governanti, e obbligheranno tutti a una navigazione a vista. L’unico modo di trarre profitto dalle difficoltà è reintrodurre in Italia la cultura del merito, e questo è impossibile se già la scuola è palestra di apprendimenti esattamente opposti, in un processo di degrado in cui insegnanti, allievi, famiglie sono allo stesso tempo colpevoli e vittime. Abbiamo letto Andrea Ichino sui danni dell’assenteismo degli insegnanti, Giacomo Vaciago sui disastri di un sistema che non valuta il merito. Se la rivoluzione del merito non incomincia di lì, come faremo a pretenderla negli ospedali, sui treni, agli sportelli?
Neppure nel dodecalogo del PD il problema è affrontato con adeguata inventiva: vedremo se il programma correggerà questa impressione. Certo è che suona incomprensibile lo slogan di 100 campus: perché se il nome americano vuole indicare università di ricerca e di qualità, che si muovano sul mercato internazionale dei docenti e degli allievi, 100 sono troppe.

Credo che una Grande Coalizione, a cui Silvio Berlusconi si è detto pronto, ancor più se fosse resa necessaria dal risultato numerico, non sarebbe nell’interesse del Paese. Peggio ancora sarebbe se la destra ci si preparasse avanzando proposte che suonerebbero datate a sinistra. Ci vogliono idee: la politica dovrebbe preoccuparsi di aprire più i propri programmi alle idee degli intellettuali che le proprie liste alle loro candidature. Questa campagna elettorale, politicamente più “civile” di quelle del recente passato, consente di guardare agli interlocutori politici senza discriminazioni ideologiche. Il problema è mettere in gioco, anche a destra, idee che permettano di derivare dai principi liberali delle proposte per governare. Proposte che al Paese servano, vinca chi vinca, e che è responsabilità di una classe dirigente costruire e produrre, fertilizzando ogni terreno politico. In questo senso ho scritto che nell’interesse del Paese “aiutare la destra”. La bozza di programma elettorale del PdL ieri anticipata dimostra che di questo aiuto la destra ha proprio bisogno.

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