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Per cambiare il lavoro la rivoluzione della saponetta

Pubblicato il 13/08/2002 @ 12:14 in Consigliati e recensiti,Giornali,La Stampa,Libri

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Nell’estate del malcontento l’ultimo libro di Charles Leadbeater, consulente di Blair, propone l’innovazione come cultura di massa

Nell’Europa che vede, mese dopo mese, governi socialisti sostituiti da coalizioni moderate – cominciò l’Italia, nel 2002 Portogallo, Olanda, Francia fecero seguito – anche in quello che rischia di restare l’ultimo grande paese europeo guidato dal centrosinistra, corre una “estate del malcontento”.
E’ la Gran Bretagna del New Labour di Tony Blair, accusato da una montante protesta delle Unions e da un’ala del suo partito di essere sceso a compromessi troppo pesanti con il mercato e gli USA. Al punto tale che poche settimane fa la seconda centrale sindacale britannica (Amicus) ha visto il suo leader perdere il posto, accusato di essere troppo filo blairita, in favore di un esponente dichiaratamente filocomunista.

In Italia, Sergio Cofferati, muove ai riformisti italiani, D’Alema e Fassino, le stesse accuse di accondiscendenza; e sabato, intervistato a La 7, ha dichiarato “morto e sepolto” il labur – liberismo di D’Alema e Blair. In questo contesto assume un particolare interesse il taglio con cui un consigliere del premier inglese ha deciso di affrontare la polemica.
Non con lo sguardo rivolto al passato, contro i massimalisti che hanno sempre fatto perdere la sinistra, e ricordando come solo i riformisti alla Blair abbiano spezzato il giogo dei lunghi anni di predomino conservatore; bensì con lo sguardo rivolto al futuro, con un’impostazione culturale prima che politica, dividendo il campo tra chi offre speranza – i riformisti – e chi coltiva utopie. A scriverlo è Charles Leadbeater nel suo ultimo libro “Up the Down Escalator” (Viking Peguin Books, 371 pag, £20.00): letteralmente “salendo per la scala mobile che scende”, un titolo che obbligherà l’editore italiano a qualche esercizio di fantasia.

Nella raccolta dei 5 milioni di firme iniziata dalla CGIL, a milioni di persone verrà ripetuto che la ragione per cui essere reintegrato del giudice nel posto di lavoro è un diritto intangibile del lavoratore, è che dietro il giustificato motivo economico si nasconde sempre la discriminazione. Si radicherà l’idea che il mondo del lavoro è un mondo sostanzialmente ostile al lavoratore, che si deve guardare da ricatti e soprusi.

Opposta a questa visione di cupo pessimismo è quella di Leadbeater. “Marx, scrive, vedeva il capitalismo come un processo continuo di dequalificazione. E questo è certo vero ancora oggi nei fast food, o nelle aziende di servizi come i call center. Ma nell’economia della conoscenza sempre più la gente deve usare la propria abilità, creatività, capacità di giudizio, valori personali che sono fuori dal completo controllo del datore di lavoro. Nell’economia della conoscenza il contratto di impiego tradizionale, che consente ai manager il diritto di dare istruzioni, diventerà sempre meno adatto.
Non spariranno le lotte di classe, né le diseguaglianze: ma per un numero crescente di persone il classico contratto di impiego cambierà in qualcosa di assai diverso. La nuova relazione tra operai e imprese dovrà riconoscere due aspetti chiave: primo che le conoscenze sono controllate e possedute non dalle imprese, ma dai singoli lavoratori; secondo, che queste capacità emergono da una base sociale di interazioni e di apprendimenti, che sovente hanno luogo fuori dall’impresa.”

Utopia? No, protesta Leadbeater, anzi è proprio la morte delle utopie, il ricordo della loro tragica eredità di oltre 60 milioni di morti, che ci dà ragione di pensare che il 21esimo secolo possa essere migliore del precedente. Egli sceglie per sé un “ottimismo militante”, che procede per tentativi, “risalendo una scala mobile al contrario”; vede un mondo in cui aumentano le varietà, popolato da ibridi, disperso in molti centri decisionali e di generazione di idee.
Quando guarda il passato, vi trova ragioni di conforto: certo c’è ancora molta ineguaglianza, ma ovunque la durata di vita è aumentata; certo molti uomini nel mondo soffrono ancora la fame, ma il loro numero è inferiore a quello di un secolo fa, quando la popolazione era enormemente minore; certo è scandaloso che oltre un miliardo di persone viva con meno di 1$ al giorno: ma é il 20% della popolazione mondiale, era il 35% nel 1980 ( e l’85% nel 1820); certo, ci sono ancora governi dispotici, ma sono isolati nel contesto internazionale e la loro presenza è sempre meno tollerata.

L’ottimismo militante ha un atteggiamento positivo verso l’innovazione tecnologica: “le forze fondamentali che muovono la nostra economia – la tecnologia, l’innovazione, la diffusione della conoscenza, la globalizzazione, la crescita della cultura democratica dell’individualismo, – non sono degenerative, ma largamente positive e potrebbero essere ancor più massicciamente positive in questo secolo”. Sulla New Economy si sviluppò anche una bolla speculativa: ma i veri innovatori erano spinti da uno spirito di crociata, l’idea che era diventato possibile attaccare i centri di potere stabiliti con modelli di business che avrebbero rivoluzionato l’industria. La tecnologia digitale, con le sue leggi di aumento della potenza e di riduzione dei costi, ci schiude per la prima volta un’epoca di abbondanza.

“Ma un’economia basata sull’innovazione, che si fonda sulla generazione e applicazione delle conoscenze, si fonda su una base sociale di investimenti in educazione , sul figli, sulla famiglia, sulla cultura”. In proposito Leadbeater porta un esempio curioso: in epoca vittoriana, con l’industrializzazione e l’inurbamento, sorse il problema della pulizia personale: la classe media era pulita, la classe operaia sporca, un pericolo per la salute pubblica.
La soluzione fu un’innovazione sociale su larga scala: la medicina fece capire l’importanza dell’igiene; lavori pubblici provvidero ad addurre acqua pulita e a scaricare la sporca; Lever inventò la saponetta. Si diffusero i bagni pubblici: e nello spazio di pochi decenni la popolazione inglese da generalmente sporca divenne prevalentemente pulita.

Per rispondere ai problemi posti da un cambiamento sociale ed economico, i vittoriani crearono la cultura di massa della pulizia: noi, per adattarci all’economia della conoscenza, dobbiamo fare lo stesso con la curiosità e la creatività. “Il bene fondamentale su cui si basa economicamente e socialmente la nostra società – la conoscenza – è creata e condivisa da milioni di investimenti individuali che ciascuno di noi decide di fare durane la sua vita di lavoro. Come possiamo incoraggiare milioni di persone a considerare il partecipare alla circolazione di idee e conoscenze come una cosa eccitante, vantaggiosa e facile? E’ la curiosità che alimenta la voglia di apprendere. Come possiamo eccitare un appetito di massa per la curiosità?”

Quello che è certo è che non lo si fa tornando a radicare l’idea di un mondo in cui il mondo del lavoro è quello della fabbrica fordista: come fa invece il gigantesco sforzo organizzativo della CGIL, che vorrebbe riportare le relazioni industriali ai livelli che vigevano in fabbriche che ora magari neppure più esistono.
Dare corpo alle angosce per ingiustizie incombenti, stimolare la resistenza contro chi vuole usurpare un diritto, sono argomenti di grande impatto emotivo, dunque di grande forza comunicativa, utili per essere usati in chiave politica come asse di una strategia di attacco a Berlusconi e di ricompattamento dell’opposizione. Ma l’uso politico comporta una responsabilità politica. Il cittadino comune finirà per chiedersi che cosa sia meglio per il paese, un’opposizione arroccata su una questione di principio discutibile (o infondata) nel merito, sproporzionata alla riformicchia del Governo, e che riporta il Paese alle relazioni industriali di 30 anni fa; oppure un’opposizione che guarda al futuro che questo Paese deve avere, e che quindi sfida il Governo sui temi della formazione tradizionale, ma soprattutto con la prospettiva di una rivoluzione, che produca una curiosità di massa, una disponibilità di massa, un individualismo di massa. Un’opposizione che spieghi al Paese le ragioni genetiche per cui questo Governo un programma del genere non lo potrà mai attuare.

Il libro di Charles Leadbeater porta un sottotitolo: “perché i pessimisti globali hanno torto”. “Il pessimismo, scrive, è uno strumento propagandistico usato sia dai radicali di sinistra sia dai reazionari di destra per fare proseliti: l’alleanza che ne risulta è forse una delle più potenti forze della politica. Per entrambi il comune nemico è la globalizzazione.
Per i pessimisti radicali di sinistra, la globalizzazione dà alle imprese un potere senza controlli, in cui il mercato promuove insieme sia un consumismo livellante sia il crescere delle diseguaglianze. I pessimisti reazionari accusano il modo in cui l’innovazione, la modernizzazione, e le influenze estere minacciano tradizioni, costumi e i modi di operare.” Che l’altro cardine della politica di Sergio Cofferati sia l’apertura ai movimenti, in particolare i no-global, non è quindi un fatto casuale, né puramente strumentale ad allargare l’area del consenso: al contrario, è coerente con la visione politica che fa da sfondo al “Tour dei diritti”, e ne rende ancora più inequivocabile il carattere conservatore.

Rivela un difetto non nuovo nella sinistra, Sergio Cofferati, rinnegando come “morte e sepolte”, l’esperienza laburista, che in Inghilterra continua a dare crescita e a ricevere consenso, e l’esperienza dell’Ulivo, che ha riportato il partito di Cofferati al Governo dopo 50 anni.
Rischia l’errore di sprecare la straordinaria occasione di rivincita che si offre all’opposizione, oggi che diventano palesi i difetti costitutivi di questo Governo, e la sua inadeguatezza ad affrontare la tremenda congiuntura. Perché una sinistra che assume per sé il ruolo politico di rigida difesa dell’esistente, e crede di far tornar le somme strizzando un occhio ai cattolici l’altro ai movimenti, torna a credere che l’orgoglio della propria base e la geometria delle alleanze colmi il vuoto drammaticamente sottolineato dalla sconfitta elettorale.
Essa non è stata decretata da un destino cinico e baro, né è solo effetto del prepotere mediatico di un Berlusconi che gli italiani conoscevano bene da anni: Piuttosto, conquistato l’ingresso nell’euro, l’elettorato ha punito una coalizione che non sembrava offrire un’interpretazione del mondo e dell’Italia all’altezza dei desideri di libertà e soddisfazione individuale che- ci piaccia o meno- contraddistinguono oggi la maggioranza dei cittadini di un paese avanzato a economia di mercato.
Si può continuare a restare convinti che l’Italia costituisca un’eccezione, si possono respingere elaborazioni come quelle di Charles Leadbeater, politiche come quelle di Tony Blair: ma per continuare ad essere e a fare storia domani e dopodomani, la sinistra italiana dovrà dimostrare agli elettori di saper interpretare ruoli diversi dall’essere alfiere di vecchi vessilli.

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