Pensioni nella bonaccia

ottobre 4, 2001


Pubblicato In: Giornali, Panorama

Non è solo per scaramanzia che il Governo, a differenza che nel 1994, ha deciso che di pensioni in Finanziaria non si parla: è per ragioni politiche che si deve porci mano, non per reperire risorse. Anche se, è bene ricordarlo, per coprire il disavanzo della previdenza tra contributi versati e prestazioni erogate, se ne vanno 100.000 miliardi l’anno. Ma così si corre un rischio: che le pensioni finiscano insieme a licenziamenti e art. 18, fondazioni e municipalizzate, scuola pubblica a privata, nel mucchio delle questioni su cui procedere con il passo del maratoneta. Invece le pensioni sono una cosa diversa.

Chi è bocciato può cambiare scuola, chi è licenziato può trovare un nuovo impiego, chi è malato può guarire: momenti importanti, ma isolati. Mentre le pensioni sono un filo che attraversa tutta la vita di tutti i cittadini, modellano scelte individuali e rapporti sociali. Per questo appare francamente incomprensibile che il Governo non si sia avvicinato alla scadenza della verifica dei risultati della riforma Dini portandovi una visione all’altezza del problema e delle sue implicazioni future. Certo, pesa il veto dei sindacati verso chiunque abbia dichiarato di voler affrontare il tema in questi anni, non aspettando che fosse Berlusconi l’uomo a cui dire no, ma dichiarandolo con forza innanzitutto all’on.le D’Alema. Ma fatto sta che il Governo è giunto all’appuntamento della verifica senza che un solo suo esponente abbia offerto un’analisi e una proposta.
Le tre riforme- Amato, Dini e Prodi- hanno ridotto gli squilibri finanziari, ma hanno lasciato aperte contraddizioni enormi. Ne ricordo solo tre.

  1. Tra lavoratori anziani e giovani: pagano tutti gli stessi contributi: ma i 2/5 più anziani avranno pensioni che, rapportate allo stipendio, saranno del 30% e oltre più elevate dei 3/5 più giovane.
  2. Tra risparmio prelevato in busta paga e risparmio volontario. Perchè venga consentita questa fondamentale libertà, bisogna ridurre in modo deciso i contributi, e per farlo senza creare deficit aggiuntivi bisogna riformare il primo pilastro. Allora i fondi pensione finanzieranno il nostro “capitalismo senza capitali”.
  3. Tra chi lavora e chi non lavora. In Italia sono occupate solo 55 persone su 100. Come faremo a raggiungere i 65 della media europea, e i 70 che ci siamo impegnati a raggiungere entro il 2010, se continuiamo a dare pensioni di anzianità a 55 anni?

Nel 1994 il primo Governo Berlusconi naufragò sulle pensioni: ma quello di finire sugli scogli non è il solo pericolo, c’è anche quello di perdersi nella bonaccia.

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