«La politica industriale è di nuovo in voga»: così Justus Haucap, professore di Economia ed esperto di concorrenza all’Università di Düsseldorf, inizia sul quotidiano tedesco Die Welt la sua analisi della proposta della francese Alstom e della tedesca Siemens di fondere le loro attività ferroviarie. L’idea di creare un campione europeo di taglia tale da tener testa alla cinese Crrc, il maggior produttore di veicoli ferroviari del mondo, è accarezzata da molti politici e suscita echi favorevoli in larghi strati dell’opinione pubblica.
Se il titolo affonda ancora non è per colpa dei capitalisti privati ma per l’intesa tafazzista tra Elliotte CDP. Memento
Alla presentazione de “L’Italia: molti capitali , pochi capitalisti” il libro scritto da Beniamino Piccone per Guido Roberto Vitale, svoltasi giovedì 24 a Milano, sono risuonate le note accuse al nostro capitalismo: familistico, opportunista, incapace di grandi progetti, come dimostrato dal fatto di non aver costruito grandi imprese. Nessuno ha però indicato che le prossime settimane potrebbero segnare la fine di una delle poche che son rimaste: se TIM perderà il controllo della propria rete, rimarrebbe solo più un rivenditore di servizi con una rete di negozi, in Italia alla pari degli altri operatori, WIND, 3, Vodafone e oggi anche Iliad. E questo sarà stato ad opera della politica, alla fine di una battaglia durata vent’anni.
Le ferrovie creano esternalità positive, suscitando attività nei luoghi serviti dai loro mezzi. Nei tempi lunghi, il paper di Peter Dizikes, economista del Mit, dimostra gli effetti che le ferrovie indiane ebbero sulle differenze di sviluppo tra aree servite e aree non servite. In tempi recenti, ci sono casi in cui le ferrovie stesse riescono a internalizzare le esternalità: sul Big Read del Ft del 28 gennaio si legge che alcune ferrovie giapponesi sono ormai tali solo di nome, un terzo dei loro ricavi venendo dallo sviluppo immobiliare e fondiario, un terzo dai servizi, negozi e alberghi, che forniscono ai passeggeri. A casa nostra, nessuno aveva previsto la dimensione delle esternalità che l’alta velocità ha avuto sui valori dei beni e sullo sviluppo delle attività del paese. Valutare compiutamente le esternalità è atto squisitamente politico: riguarda quale futuro si indica per il paese, e dipende da come si vuole che si sviluppi. Ma è anche, in limiti diversi, imprescindibilmente un fatto tecnico. E’ questo che in primo luogo siamo ora curiosi di conoscere: quali e quante esternalità positive siano state considerate dalla commissione costi-benefici della Tav. Con l’occasione siamo anche interessati a verificare che non siano state considerate le variazioni di entrate per accise o per pedaggi, che sono solo spostamenti di flussi finanziari senza effetto su costi e benefici.
Terza edizione del Festival della Cultura e della Libertà, in programma il 26 e 27 gennaio 2019 e con la direzione scientifica di Carlo Lottieri.
Sono intervenuti: Carlandrea Triscornia (giornalista), Nicola Iannello (giornalista e fellow dell’Isituto Bruno Leoni), Raimondo Cubeddu (professore), Roberto Festa (professore), Nicola Iannello (giornalista e fellow dell’Istituto Bruno Leoni), Luca Diotallevi (professore), Lorenzo Infantino (professore), Michele Silenzi (saggista), Emanuele Galba (giornalista), Stefano Moroni (professore), Laura Parmeggiani (giornalista), Franco Debenedetti (presidente dell’Istituto Bruno Leoni), Luigi Marco Bassani (professore), Corrado Sforza Fogliani (presidente del Centro Studi della Confedilizia).
È naturale che, come scrive Franco Bassanini (Il Sole 24 Ore, 21 Dicembre 2018), “molte disposizioni del nuovo Codice Europeo delle Comunicazioni Elettroniche tendano a favorire investimenti nelle infrastrutture di tlc di ultima generazione”. Però esso preserva il principio della neutralità tecnologica, le autorità nazionali non possono discriminare tra tecnologie. Per il consumatore quello che conta, più del punto di arrivo, è il transitorio: quanto tempo? quanti soldi? chi paga? Dipende da politiche fiscali, di competenza degli stati sovrani, non della Commissione. I nostri vicini europei intendono effettuare il passaggio alla rete tutta ottica con gradualità (2025 – 2030): per Deutsche Telekom la copertura universale FTTH a breve nel Paese sarebbe impossibile, costerebbe €70 mld; il Presidente Macron ha rivisto il piano FTTH del precedente governo aprendo a tutte le tecnologie d’accesso. Esclusa la Spagna (dove i cabinet non esistono, i cavi in rame sono interrati in trincea) l’Italia è l’unico Paese dell’Europa Occidentale ad aver dichiarato di voler realizzare una copertura FTTH «universale»; gli altri per ora prevedono di accelerare i collegamenti a 100 Mbit/s e la predisposizione di connessioni FTTH per utenti affari e pubblica amministrazione e per le stazioni radio del futuro sistema 5G. I molto citati casi di passaggio diretto dal rame a FTTH hanno tutti motivazioni specifiche: in Giappone le linee sono aeree e le interferenze elettromagnetiche non consentono altro mezzo; in Corea FTTH è usato nei condomini delle tre più grandi città (quasi l’80% della popolazione); altrove si usa il rame potenziato su rete esistente rinunciando alla rete tutta ottica subito, quindici anni fa obiettivo del governo.