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Nostalgia degli anni Cinquanta

Pubblicato il 14/05/2003 @ 16:53 in Giornali,Il Riformista

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Come la politica frena i miracoli

Nel corso dell’offensiva lanciata a seguito della condanna di Previti, Silvio Berlusconi, tra un’accusa ai magistrati e una ai comunisti, ha infilato anche un giudizio sulla situazione economica: “l’economia si sta fermando”, ha detto domenica alla convention elettorale di FI a Udine, “o almeno non si sta sviluppando secondo le nostre aspettative”. E questa volta senza tirare in ballo la solita scusa del “buco di 35.000 miliardi di vecchie lire”, che avevamo sentito ancora poche settimane fa, al convegno di Confindustria di Torino.

La notizia é stata in qualche modo sommersa dal rumore della polemica politica. Se Berlusconi dice “gli ex comunisti non possono governare”, fa i titoli di prima pagina; se dice che gli italiani abbiano davanti a sé uno o due anni praticamente di non crescita, va nelle pagine interne, vicino a un’analisi sulla forza del dollaro, e a una discussione sulle quote latte.

Non è solo per la forza del paradosso (l’uomo che morde il cane) che un pericolo eventuale, che può levare il sonno a pochi – la presa del potere da parte dei comunisti – ha molto più risalto di un danno certo, e che riguarda tutti – che si starà meno bene. Il fatto é che i giornali sanno che i loro lettori trovano il livello a cui è arrivato lo scontro politico più importante e più grave perfino di ciò che li tocca direttamente nel portafoglio, intuiscono che “le cose della politica” – il rapporto tra maggioranza e opposizione, gli scontri tra poteri e gli attacchi alle istituzioni – vengono prima perfino dell’andamento dell’economia.
Non si tratta solo di priorità. C’è un rapporto più cogente tra i livelli dello scontro politico del premier contro quelle che egli considera le sue due opposizioni, giudiziaria e parlamentare, e le prospettive di reddito e di consumo di ciascuno di noi: il rapporto tra causa ed effetto.

Non è che l’Italia vada peggio degli altri grandi paesi dell’Europa continentale; il governo non ha molte leve a sua disposizione, non il cambio, né il tasso d’interessi a breve; Bruxelles boccerebbe come aiuti di stato aiuti alle imprese o a regioni; il nostro debito pubblico riduce lo spazio delle politiche di bilancio. Ma queste cose si sapevano anche nel 2001, quando, nelle sue considerazioni finali, il Governatore Fazio pronosticava per l’Italia, con il nuovo governo, un “secondo miracolo economico”. Nè bastano, a spiegare la delusione, ciò che é venuto dopo, il terrorismo, l’enronite, la SARS. Ieri il Riformista riportava l’analisi degli effetti negativi che sulla crescita ha avuto l’uso che il governo ha fatto degli strumenti economici a sua disposizione: il fisco, le politiche del Mezzogiorno, le scelte in materia di opere pubbliche (e sul controllo dei costi). Ma c’è anche una relazione tra politica, intesa come dialettica tra le componenti della società, ed economia, che va oltre quanto evidenziato da queste analisi: perché le decisioni di investimento delle imprese, e di spesa degli individui, le loro previsioni, dipendono in modo cruciale dal clima politico.
Io non credo che la previsione di battaglie finali contro i giudici, gli attacchi al capo dello stato, l’evocazione di pericoli che la maggioranza degli italiani – anche di quanti non votano per il centrosinistra – giudica fantasiosi, induca gli italiani ad investire maggiori risorse finanziarie o umane. Sarebbero invogliati a farlo dalla da una giustizia più celere, e da leggi più snelle: vedono invece politici che protraggono i processi e snelliscono le leggi che non gli convengono. Sarebbero invogliati a farlo da più concorrenza e minori prezzi: vedono invece le grandi imprese cercare di occupare i settori protetti e l’azienda del premier batterle tutte con margini di profitto tipici di chi opera in condizioni di monopolio.

Negli anni ’50, quelli del primo miracolo economico, la paura del comunismo non era un paradosso, la lotta politica era aspra, e dura quella tra categorie sociali. E quanto alla giustizia… Invece che in una Terza Repubblica, qualcuno sperava nella rivoluzione: ma c’era – lo ricordo bene, iniziavo allora a lavorare – un altro senso di coesione, una diversa fiducia, in se stessi e nelle istituzioni. Certo che quelle condizioni sono irripetibili: l’Italia era un paese agricolo che faceva il salto dell’industrializzazione, con basso costo del lavoro e basse imposte. Ma le metafore funzionano se hanno un grano di verità: e se Antonio Fazio ha usato quella del “nuovo miracolo economico” é perché puntava proprio su un clima politico diverso, che liberasse e motivasse gli spiriti imprenditoriali del paese. Per questa ragione, l’ammissione di Berlusconi, fatta mentre porta al calor bianco lo scontro politico, più che la previsione di una difficoltà è il riconoscimento di un insuccesso.

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