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Non si esce dall’oligopolio bloccato dei media senza fissare la data della privatizzazione RAI

Pubblicato il 30/06/2003 @ 15:32 in Giornali,Il Riformista

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Riforma Gasparri

1 – Il modello di riferimento. Quando si scrive una legge di sistema, bisogna avere un modello di riferimento. Quando il sistema è quello dei media, fondamentale per un paese sviluppato, da noi invece ridotto a un oligopolio bloccato, il modello non può che essere un mercato dove la concorrenza è garantita senza ostacoli (come prevede la Costituzione europea). Questo mercato ha suoi vincoli specifici: servizio pubblico, limiti antitrust, allocazione delle frequenze, ecc.: ma sono appunto vincoli, sovrapposti al modello, che resta lo stesso, e da cui le caratteristiche del sistema si deducono in modo logico e concatenato.

2 – Il sistema integrato delle comunicazioni. Anche il ddl Gasparri sembra prendere il mercato concorrenziale come modello: così si spiega perché, abbattendo gli steccati tra TV e carta stampata, definisca come proprio campo di applicazione il “sistema integrato delle comunicazioni”. Se il sistema è bloccato, e si vuole fare spazio alla concorrenza, bisogna allargarlo. E’ un approccio radicalmente diverso da quello, finora seguito, di segmentare il campo, ripartendo le frequenze tra i vari concorrenti. Il mercato non è un Monopoly, in cui le frequenze sono come gli alberghi in Vicolo Stretto. Il mercato sono le imprese: a differenza delle concessioni, non si materializzano per atto amministrativo.

3 – Per creare il mercato, privatizzare la RAI. Uno sguardo alle principali imprese del settore ed ai loro fatturati (circa, milioni di euro): Mediaset 2600, Mondadori 1600, RCS 2100, Espresso 1800, Rai 1300 + 1350 di canone, Sky 2000 (quando dagli attuali 2,2 avrà raggiunto i 5 milioni di abbonati). Aggiungiamo pure qualche altro player e qualche outsider: è evidente che o si mette nel gioco la RAI, o di concorrenza a Mediaset non si parlerà per decenni. Una RAI in concorrenza combatte per l’auditel; quindi è una RAI privata. La RAI privata, tutta privata, è essenziale alla coerenza del progetto Gasparri. Che però, con grave incoerenza, non dice quando ciò avverrà. Se disponessi di un solo emendamento, lo userei per fissare la data entro la quale concludere la privatizzazione. (Essendo dell’Ulivo, la fisserei entro maggio 2005, un anno prima delle politiche).
Vendere con offerta pubblica garantisce trasparenza; così propone Gaspari che pone il limite dell’1% al possesso di ogni persona fisica. La RAI è costosa, mal gestita; continuerà ad esserlo senza un azionista di controllo. Solo la prospettiva che qualcuno lanci un’OPA, prenda in mano la RAI e la renda efficiente può indurre i risparmiatori a rispondere all’offerta. Deve essere chiaro che i tetti azionari saltano con delibera dell’assemblea straordinaria (a meno che Berlusconi voglia imitare i socialdemocratici della Bassa Sassonia, e varare nel semestre europeo una copia di quella “legge VW” che l’Europa cerca di smontare).

4 – I limiti antitrust. Dato che finalità della legge è creare un mercato, l’impresa dominante, Mediaset più Mondadori, non può approfittare del periodo di transizione per crescere ancora, rendendo impossibile ogni futura concorrenza. Lo standstill riguarderà non solo TV e editoria, ma anche le attività a monte ( produzione) e a valle ( raccolta pubblicitaria). Le sarà consentito di crescere come il mercato, finché, a giudizio dell’Autorità, non si sarà creato un mercato concorrenziale. Diciamo 5, alla peggio 8 anni. (In questo schema, alla fine valgono le normali regole antitrust sull’abuso di posizione dominante. Il ddl Gasparri pone un limite alla risorse che ogni operatore può detenere: il limite è più stringente, ma le risorse vanno definite con criteri oggettivi, e non in modo ambiguo).

5 – I timori degli editori. Gli introiti RAI sono costituiti per il 50% dal canone, che così compensa il tetto pubblicitario più basso di quello Mediaset. Gli editori di carta stampata, già lamentano la quota di pubblicità presa dalle TV, temono moltissimo una RAI privata, con tetti pubblicitari più elevati. E’ una preoccupazione seria. Però la funzione del canone non è di garantire in eterno gli equilibri di bilancio della carta stampata. Il ddl Gasparri proroga la concessione alla RAI per 12 anni: troppi, e poi il problema si riproporrà identico. Credo che si possa disegnare un percorso di alcuni anni in cui il canone progressivamente diminuisce, mentre parallelamente crescono i tetti pubblicitari RAI. Il ddl Gasparri vede in prospettiva il servizio pubblico, oggi finanziato dal canone, diventare onere di concessione per tutti gli operatori del settore: i due percorsi potrebbero essere paralleli.

6 – I vincoli: servizio pubblico, numero delle reti. Non ho mai capito perché le caratteristiche di un programma di servizio pubblico non possano essere contrattualmente definite, perché invece il servizio pubblico possa essere erogato solo da una TV pubblica; non capisco il meccanismo per cui la proprietà pubblica dispiega tale suo misterioso potere. Ma se il legislatore fosse di diversa opinione, sono disponibili diverse soluzioni, che lasciano inalterato il modello. Quella, ovvia, di mantenere una rete RAI pubblica; quella, brillante, di fare acquistare da una fondazione (sempre pubblico, ma più elegante) una rete dalla RAI e una rete da Mediaset.
Analogo discorso per il limite al numero delle concessioni a un singolo soggetto. Considerando: che questa legge vuole creare un mercato concorrenziale tra soggetti forti; che allarga il mercato a comprendere tutto il sistema integrato delle comunicazioni; che si diffondono le parabole e che si avvicina l’ora del digitale terrestre: il limite fissato dalla Corte di 2 concessioni per operatore non ha più molta ragione di essere. Il mercato della telefonia mobile vale il triplo di quello della TV, ci sono 3 concorrenti e nessuno trova che siano troppo pochi. Ma se il legislatore o la Corte fossero di diverso parere, impongano il
“disarmo bilanciato”, via una rete Mediaset e una RAI. I concorrenti veri restano gli stessi, solo più deboli; le due reti dismesse, se anche si unissero, sarebbero un’unione tra deboli. Una rete non è un ramo d’azienda, scorporala è costoso e complicato: bisogna dividere gli studi, gli uffici, fare i contratti di lavoro. Le imprese non si assemblano come i blocchetti di Lego; lo spezzatino poi, lungi da “salvare la TV” (Massimo Riva su Repubblica), porrebbe la concorrenza tra tante debolezze a (debole) garanzia del pluralismo.

7 – La data, Ministro, la data! Mercato concorrenziale; abbattimento delle barriere; privatizzazione della RAI; congelamento dell’operatore dominante; canone e tetti pubblicitari; risposte a eventuali vincoli di servizio pubblico, o di numero delle reti: dal modello iniziale si deduce logicamente tutta la struttura del settore.
Il ddl Gasparri perde per la strada un po’ di quella che sembrava essere la sua impostazione di partenza. E omette di dire la data in cui la RAI sarà dismessa. Una dimenticanza a cui lo invitiamo a rimediare subito.

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