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Non regalate Confindustria a Berlusconi

Pubblicato il 20/03/2001 @ 14:00 in Giornali,La Stampa


Due voci a sinistra si sono particolarmente distinte nei commenti al progetto “Azioni per la competitività” che Confindustria ha presentato a Parma venerdì e sabato di fronte a una platea di 4000 imprenditori. Quella di Valentino Parlato sul Manifesto e quella di Eugenio Scalfari su Repubblica. Entrambi hanno inviato la sinistra a non commettere l’errore di considerare la Confindustria di Antonio D’Amato come una sorta di organizzazione collaterale alla Casa delle Libertà di Silvio Berlusconi.

Entrambi hanno detto che Confindustria non aspira oggi a essere una delle parti sociali, ma la nervatura portante dell’intera classe dirigente in un paese dove i valori del mercato siano più condivisi. Entrambi, di conseguenza, sia pure con toni diversi, ne hanno concluso che, così stando le cose, il centrosinistra dovrebbe finirla di sparare nel mucchio o di cercare un’intesa nel mucchio” – sono parole di Parlato. Nessuno dei due naturalmente, auspica che la sinistra sposi unilateralmente le richieste avanzate da D’Amato. Ci mancherebbe. Entrambi, però, hanno invitato la sinistra a non commettere l’errore di “ regalare” la Confindustria di D’Amato a un Silvio Berlusconi i cui consensi, come hanno scritto tutti i giornali, sono risultati comunque inferiori a quelli riservati a D’Amato quando, concludendo i lavori, ha dichiarato “non ci schieriamo, giudicheremo dai fatti”.
Diversa la reazione di Sergio Cofferati che nella sua intervista a Repubblica accusa gli industriali di andare contro i bisogni del paese, di essere antieuropei e di puntare solo a smantellare il sindacato.
La domanda, a questo punto, a poche settimane da elezioni assai contrastate, è quale atteggiamento la sinistra dovrebbe preferire, pensando sia agli interessi del paese che ai propri.
Innanzitutto, una sinistra che si ricandida a governare e non a esercitare potere di interdizione, dovrebbe cogliere la significativa differenza che separa il progetto di Parma – proporsi come classe dirigente del Paese dalla rivendicazione, in voga qualche anno fa, della centralità dell’impresa, che stava a significare la priorità degli interessi industriali rispetto agli altri.
Tuttavia proporsi come classe dirigente è altra cosa dal pretendere di essere classe egemone. Ampio ed articolato finché si vuole, ma il progetto di Confindustria non è un progetto di Governo: e ha sbagliato quindi Silvio Berlusconi quando, per strappare gli applausi della platea, ha dichiarato la assoluta identità tra il programma di Confindustria e il proprio. Oltretutto, imbarazzando D’Amato, che ha dovuto correttamente ribadire che al contrario gli imprenditori aspettano il governo alla prova e non intendono certo né sostituirsi ad esso, né concedergli deleghe improprie.
Ma se, oltre che al Paese, la sinistra guarda agli interessi propri, ecco che allora ricercare un rapporto costruttivo, senza peraltro incorrere in alcuna abdicazione, con questa Confindustria che chiede e si impegna lei per prima a competere meglio, diventa un impegno analogo a quello che, a ben vedere, il Governo di Jospin a Parigi deve assumersi nei confronti delle energiche richieste di Antoine de la Seilleire, e quello di Schreoder, a Berlino, nei confronti degli industriali guidati da Olaf Enkel. E’ la logica di governo dei paesi avanzati chiedere alla sinistra , se vuole governare, di non diventare una parte contro una parte. E di saper riconoscere, al contrario, che una parte, come è Confindustria, pur lanciando una sfida impegnativa, non si candida a diventare né un partito né il governo del Paese.

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