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Non è una sfida fra finanza moderna e medievale. E’ che Capitalia vuole il gruzzolo di Mediobanca

Pubblicato il 10/03/2003 @ 10:45 in Giornali,Il Riformista

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Generali. Le banche e gli assetti proprietari

Nella vicenda della scalata di Unicredito a Generali è necessario innanzitutto sgombrare il campo da un argomento pretestuoso. Questa non è una querelle des anciens et des modernes. Questa non è la battaglia che vede schierata da una parte la finanza moderna, anglosassone, quella delle public company, dove la proprietà è separata dal controllo e questo va ai manager in virtù dei loro buoni risultati; e dall’altra la finanza medievale, delle azioni che si pesano e non si contano; degli incroci con cui gli azionisti privati di Mediobanca, con i soldi degli azionisti bancari e del parco buoi, mantengono il controllo delle loro aziende con un minimo di capitale.

Singolare campo dei modernizzatori, quello guidato da una banca, Unicredito, in cui la stabilità del controllo è assicurato da Fondazioni ex (?) bancarie, non proprio un esempio nè di modernità né di trasparenza. Singolare forma di distruzione creatrice, quella che per arrivare ad un sistema popolato da public company, elimina dal novero l’unica che abbiamo, Generali. Singolare infine che attacchi agli schemi proprietari mediobancheschi li si trovi anche su organi di informazione appartenenti a gruppi che proprio a quei metodi ricorrono per assicurarsi stabili assetti proprietari.

E’ l’italianità delle Generali, si dice, la vera ragione. Argomento, quello della bandiera, da cui diffidare in linea di principio. In bocca a questi campioni dei “moderni” poi, suona contraddittorio. Soprattutto quando riposa sui megaacquisti compiuti dall’americana Merril Lynch. Fintanto che il principale azionista di Generali è stato Mediobanca, nessun pretendente si è fatto avanti, anche in anni in cui il credito per montare scalate era abbondante. Le mani francesi sono intervenute in Piazzetta Cuccia, non a Trieste, e solo quando Mediobanca era già stata messa sotto attacco. Chi remunererà Unicredito per questa difesa del tricolore, combattuta a prezzi così cari? Non costava meno allearsi con Mediobanca nella difesa del gioiello nazionale? Non bastava dichiararsi pronti a farlo, senza tirar fuori una lira?

No, si corregge il tiro, è che le Generali sono gestite male: Mediobanca ne cambia gli amministratori in continuazione, e la usa per puntellare i suoi giochi di potere. Ma allora bisogna concludere che i mercati non funzionano: se è gestita così male, perché il titolo Generali è il più caro tra tutti gli assicurativi europei? Molti giudicano illogico che siano le banche a possedere le assicurazioni e non viceversa; Generali è molto cara, e con la scalata lo diventa ancora di più; con Profumo, Unicredito è diventata la migliore delle nostre grandi banche, una delle migliori in Europa. Ma perché dovrebbe avere successo anche in un mestiere diverso? Vale la pena rischiare la sola success story nel nostro mondo bancario per un’operazione così incerta?

Il problema, si dice allora, sta nella concorrenza interna. Capitalia e Unicredito non possono accettare che un’azienda di cui sono i principali azionisti gli soffi gli affari migliori. E’ la teoria del buscar l’oriente. Non riuscendo ad attaccare il quartier generale, attaccano la guarnigione più importante Alla faccia dei liberisti, verrebbe da dire: non solo perché così si strozza la concorrenza, ma per il modo diciamo disinvolto in cui i due azionisti bancari di Mediobanca risolvono il loro conflitto di interessi. Questa ha sempre svolto, bene e con profitto, questa attività. Sono le banche di credito ordinario che, non riuscendo più a far quadrare i conti prestando i soldi, allargandosi a fare altre attività finanziarie, entrano in conflitto con la propria partecipata. Ma quando siedono nel consiglio di Mediobanca, è di questa che devono fare l’interesse: lo impone il codice civile. Se non sono soddisfatti possono: o uscire vendendo la propria partecipazione e investire il ricavato per far concorrenza a Mediobanca; oppure comprare anche le quote degli altri azionisti e incorporarla. Dovrebbero però anche spiegare ai loro azionisti perché è unbupon affare comperare 20% della più grande società di assicurazioni europea, per assicurarsi le competenze di Mediobanca. Devono veramente essere straordinarie.

Mediobanca è anche una finanziaria di partecipazioni: è uscita dalla sua orbita Fondiaria per volontà – giustamente – di Antitrust e Consob; è uscita Edison, dopo che le banche hanno finanziato la scalata da parte della Fiat. Delle altre partecipazioni industriali, certo non interessa la Fiat, che le banche controllerebbero sol che volessero convertire il prestito di 3 miliardi di euro. Quanto al Corriere, l’oggetto dei desideri proibiti, si possono anche immaginare triangolazioni politico editoriali condotte dai banchieri sotto una sapiente regia in vista di qualche ambizioso disegno: ma allora è meglio mettersi a scrivere libri di fantapolitica.

Andiamo al sodo: tra liquidità e valore di azioni quotate al prezzo di mercato, cioè senza premio per il controllo, gli azionisti hanno immobilizzati nella partecipazione in Mediobanca circa 10 miliardi di euro. Con il break up, se la porterebbero a casa con in più il conglomerate discount che ne vale altri 10. Forse la spiegazione è più semplice e più banale: quel gruzzolo è quello che interessa. E interessa in primo luogo alle banche, e , tra le banche, in primo luogo a Capitalia. E a chi interessa se non alle banche? E, tra le banche, quale per prima?
Se così è, allora il problema diventa chiaro, e allora anche la querelle des anciens et des modernes ha piena cittadinanza. Solo che bisogna porla in modo chiaro, mettendo le cose in ordine logico. Ci si accorge allora che il problema non sono le banche, ma la struttura degli assetti proprietari nel nostro paese. E questo è un problema che riguarda il Governo, non – sia detto con tutto il rispetto – né la vigilanza nè neppure l’antitrust bancario. Per eliminare il “medioevo” delle scatole cinesi: basta rendere il sistema fiscalmente meno conveniente, oppure non solo non ammettere al listino nuove scatole vuote, ma eliminare entro qualche anno quelle che ci sono. Sostenere che per farlo si deve cacciare Maranghi, appare un po’ sproporzionato: anche qui, con tutto il rispetto.
Il sistema con cui Mediobanca ha sostenuto il capitalismo privato italiano non è più adatto ad un capitalismo moderno. Le nuove regole però non tocca scriverle ai banchieri. Questi dovrebbero preoccuparsi di non bruciare in un enorme falò delle vanità miliardi di euro oggi più che mai scarsi, e di non buttare per l’aria una Mediobanca che, finché le regole non cambiano, una funzione buona l’ha svolta. Se poi il ritardo della politica incapace delle nuove regole diventa giustificazione per trasformare i banchieri in raider, equivale a credere che l’Italia ingracilita guarirà con due colpi di fucile.

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