Non celebriamo la difesa dell'italianità

agosto 27, 2006


Pubblicato In: Giornali, Il Sole 24 Ore

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Nella fusione Sanpaolo – Intesa la difesa dell’italianità ha giocato un ruolo determinante.

Nella fusione Sanpaolo – Intesa la difesa dell’italianità ha giocato un ruolo determinante. Determinante in senso letterale, con riferimento al ruolo che ha avuto nell’orientare la volontà delle parti, quindi senza implicare in alcun modo che l’operazione non abbia, nel suo orizzonte strategico, altre ragioni che la giustificano.

Molti commentatori hanno rilevato la novità dell’assetto normativo, la discontinuità con l’epoca del ”confessionale” dove gli amministratori dovevano anticipatamente rivelare i loro più reconditi progetti al Governatore della Banca d’Italia, titolare unico del potere di affossarli o approvarli. (E non parlo di differenze politiche, come quelle che aveva in mente l’amico che mi comunicò la notizia con questo SMS: “Intercettato Prodi al telefono con Bazoli: Abbiamo una banca!”). Ma ci sono anche elementi di continuità, che fanno apparire il successo dell’operazione di questo Agosto quasi figlio del fallimento di quella dell’Agosto scorso. In primo luogo la necessità di trovare una strategia difensiva per l’italianità delle nostra grandi aziende, incominciando dalle banche: un messaggio interiorizzato a tutti i livelli, politico, imprenditoriale, di opinione pubblica. Fallita la difesa contro le OPA già lanciate, è necessario mettere in atto strategie preventive contro quelle probabili. Allora BBVA e ABN, oggi forse Santander. Tra le iniziative BPI e Unipol c’è la differenza tra il giorno e la notte, ma in entrambi i casi gli attori di allora fecero leva sul dirigismo e l’interventismo difensivo di Fazio. I protagonisti di oggi si muovono sospinti da politica e da opinione pubblica, negli spazi di libertà aperti da Mario Draghi.. E’ singolare che nessuno, credo, di quelli che un anno fa condannavano il nazionalismo antieuropeo dell’ex Governatore, oggi vedano nella difesa dell’italianità operata da Bazoli e da Salza un punto debole. Al contrario adesso appare un punto forte che non necessita dimostrazione.

Per questo è necessario ripetere con particolare vigore che la difesa dell’identità nazionale di un’impresa non è né un valore né un disvalore: nella migliore delle ipotesi é un vincolo alla libertà strategica, nella peggiore un onere improprio.

A puro titolo di esempio: che cosa è meglio, per azionisti e clienti di Sanpaolo, essere la punta avanzata nella strategia europea di un gruppo da 800 mld € come il Santander, o essere il comprimario di un gruppo italiano da 50 mld €? Come è più agevole integrare le due strutture? E’ più facile fare efficienza e ridurre le eccedenze pungolati dal confronto con il socio estero o costretti dalle necessità di eliminare le sovrapposizioni? Con metafora geo-economico-ferroviaria, è meglio il ramo Est o il ramo Ovest del corridoio 5 Barcellona – Trieste? Si dice Trieste e si pensa Generali: e qui i problemi sono concreti e riguardano posizioni dominanti e conflitti di interesse. Generali sono azionisti del Sanpaolo, che possiede Eurizon, secondo operatore italiano di assicurazioni vita, sono nel patto di sindacato di Intesa e proprietari al 50% della società che vende polizze vita Generali agli sportelli Intesa. Rompicapi non piccoli per Antitrust e ai management. E potrebbe non finire qui, perché la stabilità dell’assetto proprietario di Generali è assicurata da Mediobanca, di cui sono azionisti Unicredito e Capitalia: solo per ricordare che , in affari come al biliardo, bisogna saper prevedere le deviazioni della palla su tutte le sponde che incontrerà una volta colpita.

Il tema dell’italianità, esaurito il suo compito, non potrà entrare in nessuna valutazione, né come merito né come giustificazione: soprattutto non deve entrare nella opinione pubblica come modello da imitare. A questo fine le Fondazioni bancarie ( mi consenta il presidente Guzzetti di usare un termine nuovamente attuale) possono dare un esempio prezioso. A volte giocando col fuoco, esse hanno saputo schermirsi dagli innumerevoli compiti cui venivano chiamate, salvare l’Alitalia o accollarsi la RAI. Adesso, da azionista esemplare, hanno sostenuto un’iniziativa del management che credono profittevole. Siano esemplari fino in fondo e dichiarino che fra tre anni usciranno dal patto di sindacato. Eviteranno che a qualcuno venga in mente di usare la nuova grande banca ( e quindi i loro soldi) per ambizioni improprie; e significheranno al management che fra tre anni, per difendere la propria indipendenza, potrà contare solo sui risultati che avrà saputo raggiungere.

E’ il miglior servizio che possono fare non all’italianità, ma agli italiani, agli azionisti e ai clienti della nuova banca.

P.S. L’amico dell’SMS non è né diessino né simpatizzante tale.

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Il Predatore Italiano
The Wall Street Journal, 30 agosto 2006

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