di Angelo De Mattia
Appello al premier affinché non accolga la proposta di “Report”
Il premier Mario Monti, intervistato durante la trasmissione “Report” domenica scorsa, ha detto che esaminerà con attenzione la proposta di Milena Gabanelli e Stefania Rimini per introdurre una tassa (del 33 per cento) sull’utilizzo del denaro contante, con apprezzabili finalità antievasione e antiriciclaggio.
Monti ha fatto bene: conoscere per deliberare, anche se qualificare da parte sua quella proposta come una misura di politica economica appare senz’altro eccessivo. Di ben altre misure di quest’ultimo tipo avremmo oggi bisogno. Naturalmente, il conoscere serve anche a non deliberare accogliendo una proposta, quando i risultati dell’analisi lo impongano.
Esiste una differenza sostanziale tra l’ipotesi Gabanelli e la Tobin tax nonché la limitazione dell’uso del contante. Queste due misure, l’ultima vigente e suscettibile di ulteriori interventi per abbassare ancora il tetto e la penultima tuttora oggetto di discussione a livello comunitario ai fini della sua adozione, non finiscono con il colpire al cuore la funzione di emissione delle banconote da parte della Banca centrale, che si trasformerebbero in biglietti con costo a carico dell’utilizzatore, ben oltre la loro secolare natura di titoli al portatore, con potere solutorio e liberatorio, fondato sull’affidamento del pubblico e sul ruolo di garanzia dell’Istituto emittente. Il quale fruisce del “signoraggio”, ma attribuisce allo stato (che così già percepisce un’entrata) una parte consistente dei propri utili. Diversa cosa è se progressivamente si afferma in una società il ricorso ad altri mezzi di pagamento e il contante acquista un ruolo secondario se non marginale per scelte autonome, aiutate dagli sviluppi delle tecnologie, dalle preferenze dei consumatori, dall’evoluzione dei rapporti con il sistema bancario, dagli influssi della globalizzazione, dalle culture, etc.
E’ la storia dei sistemi di pagamento più evoluti. Ma prevedere la tassazione – come se nel paese finora non si fosse fatto leva quasi esclusivamente sulla imposizione tributaria per contrastare la crisi – oltre agli impatti che determinerebbe negli ordinamenti relativi alla facoltà di emissione in origine “concessa” dagli stati a quelle che oggi sono le Banche centrali, avrebbe sicuramente il risultato di far nascere un mercato parallelo del contante, con tutte le ovvie conseguenze; si opererebbero “arbitraggi” tra paesi nell’uso delle banconote; alla moneta buona scomparsa subentrerebbe quella cattiva del mercato nero.
A tacere, poi, della conformità di una tale misura al Trattato dell’Unione europea e allo Statuto della Banca centrale europea. Sono obiezioni che sarebbe grave se fossero attribuite a un intento di lassismo nell’azione di contrasto dell’illecito e non, invece, alla necessità di scegliere a tal fine mezzi inattaccabili, efficaci, che non alimentino boomerang e non snaturino, pur con lodevoli propositi, una funzione incardinata nella sovranità degli stati.
Primum non nocere, dovrebbe essere il principio che regola la terapia d’urto anche in questo campo.
Il presidente del Consiglio esaminerà, dunque. Ma sarà preferibile che poi si concentri su misure che proseguano nella linea da tempo intrapresa di contrasto dell’evasione fiscale e del riciclaggio, anche attraverso un ancora più intenso coinvolgimento del sistema bancario, a cominciare dall’obbligo della segnalazione delle operazioni sospette di anomalia.
Anche in questo caso, per dirla à la Passera, non esiste rideona” o la pietra filosofale. Anche in questo caso, occorre padroneggiare storia e ordinamenti per compiere scelte valide, efficaci, giuridicamente sostenibili.
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