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Nell’aer del mercato-spettacolo non prendiamocela con la tv

Pubblicato il 02/01/1993 @ 15:56 in Giornali,La Stampa


Debenedetti a Citati: l’Italia del protagonismo

“Un ‘ondata di follia aggredisce l’Italia. Una specie di delirio aggredisce il paese e non accenna a placarsi. In tutti il sogno è identico: apparire in televisione, venire intervistati, glorificare il proprio ego meraviglioso, parlare male di tutti gli altri, uomini politici, scrittori, industriali, o vicini di casa, moglie o marito.” Secondo Piero Citati, che così ne scrive su Repubblica del 27 Dicembre, “probabilmente il fenomeno non ha alcuna ragione; è una semplice invenzione della nuvola vagabonda e fantastica della storia, che vuole divertirsi a nostre spese.”

È impossibile prevedere le invenzioni fantastiche delle nuvole quando si sfilacciano sotto una brezza, calcolarne le forme quando si gonfiano cariche di pioggia, fornire una descrizione esatta di come striano il cielo del maestrale. Le nuvole infatti sono un esempio di fenomeni caotici, quelli che esibiscono una influenza sensibile alle condizioni iniziali, i cui comportamenti sfuggono al determinismo della meccanica classica. Ma il fatto che le forme delle nuvole non siano individualmente calcolabili non impedisce di comprendere il funzionamento dei fenomeni meteorologici e di fare previsioni ragionevolmente accurate.
Anche gli individui esibiscono caratteristiche analoghe: e imprevedibili sono i modi in cui esperienze, anch’esse casuali, formano le personalità, e quindi ne determinano azioni e comportamenti. Il che non vuol dire che fenomeni culturali di massa non siano conoscibili ed interpretabili.
Il sistema degli scambi di beni e servizi tra individui, cioè il mercato, è enormemente più complesso che non le capricciose invenzioni delle nuvole: miliardi di persone interagiscono tra di loro, per soddisfare le loro individuali necessità, in base ad individuali giudizi, a loro volta frutto di un’infinità di conoscenze ed esperienze stratificate nella memoria e nell’inconscio. Eppure ciò non impedisce che alcune caratteristiche del mercato siano conoscibili, che alcune tendenze siano suscettibili di interpretazione e consentano altre interpretazioni: magari anche del fenomeno denunciato da Citati.
Il mercato, in Italia come nei paesi industrializzati, (che consumano e producono tre quarti del PIL mondiale), e° diventato un mercato dell’abbondanza: non solo in termini quantitativi, ma soprattutto qualitativi, come varietà e sofisticazione dei beni e servizi offerti. Nella grande maggioranza dei casi, è un mercato di sostituzione, in cui ciò che conta sono i valori simbolici , il contenuto di informazione dei beni. Sono variazioni estetiche, e quindi simboliche, sostanzialmente minime qulle che distinguono automobili, televisori, vestiti. O ancora più elusivamente, i 316 tipi di nuovi succhi di frutta messi sul mercato nel solo 1991, o molti dei 200.000 prodotti farmaceutici (tra cui ben 41 tipi di analgesico Tylenol) commercializzati negli USA. Solo la varietà ricrea la scarsità (si pensi alla mania degli SwatQh). Anche beni di investimento, come i prodotti informatici, hanno cicli di vita paragonabili a quelli della moda. E proprio il riferimento alla moda è quello che meglio rimanda alla dominanza di valori simbolici, di informazione, contenuti nei beni.
Il mercato deve saper frammentare la propria offerta, esaltando le differenze tra gusti e preferenze individuali, deve essere totalmente trasparente alle informazioni, che devono raggiungere tutti, individualmente, cioè in quanto individui. La segmentazione dell’offerta arriva al limite del “market of one”: per funzionare, la civiltà di massa deve esaltare le caratteristiche dell’individuo in quanto consumatore, stabilendo rapporti carichi di valori emozionali.
La stessa cosa avviene dal lato dell’offerta dove solo la frammentazione e destrutturazione organizzativa permette di avere flessibilità e rapidità di risposta adeguate in un mercato così soggetto a rapide obsolescenze. Le organizzazioni d’impresa da piramidali diventano piatte, consistono di nodi connessi da circuiti informativi che si snodano largamente all’esterno dell’azienda; nelle strutture orizzontali gli individui, questa volta in quanto produttori, vengono esposti direttamente al mercato, richiesti di compiti sempre più autonomi e meno parcellizzati.
È la struttura stessa del mercato, della domanda e dell’offerta, che stimola e richiede l’esaltazione dell’ego. Il mercato, inondato e trasparente alle informazioni, induce alla spettacolarizzazione, nei supermarket come nei congressi di partito. Se il bene è moda ed il mercato spettacolo, allora l’uomo è attore, e la televisione, pervasiva ed effimera, è il palcoscenico. La profezia di Andy Warhol vale per politici e capitani d’industria come per le coppie di “C’eravamo tanto amati”.
Citati rimpiange, e spera ritorni, la “tradizione della discrezione, che si conserva ancora nelle campagne piemontesi o toscane o umbre o siciliane”, una tradizione secondo cui “bisogna vivere cancellando continuamente la propria immagine,bisogna vivere nella sobrietà e nel silenzio”.
Se l’analisi suggerita è corretta, questa tradizione della discrezione non dovrebbe avere molte probabilità di rivivere. Nè sembra sia troppo da rimpiangere. A ben vedere, quella della sobrietà più che una scelta, era un portato della ristrettezza se non della penuria; a cancellare l’immagine degli individui provvedevano le stesse strutture produttive verticali; il silenzio era gradito, il parlare di sè perlopiù ininfluente.
Oggi, certo, la televisione ci porta in casa anche i “cialtroni, gli arroganti e gli arlecchini”. Ma quelli ci sono sempre stati: solo che ora si può cambiare canale.

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