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Nel futuro dell’Enel una rete di telefoni

Pubblicato il 01/11/1994 @ 13:12 in Giornali,La Stampa


La nazionalizzazione dell’energia elettrica fu il punto d’arrivo di un lungo e approfondito dibattito. Oggi, la privatizzazione dell’Enel rischia invece di risolversi in una colossale occasione mancata, attuata senza i necessari approfondimenti e unicamente per soddisfare le esigenze di cassa del Tesoro, dietro le quali management, sindacati e partiti indossano le vesti di conservatori che trent’anni fa ammantavano gli industriali elettrici. Allora produrre energia e renderla disponibile su tutto il territorio era una necessità posta dall’accelerata industrializzazione del Paese.

Oggi l’ interconnessione a livello continentale rende l’energia una commodity; progettazione, costruzione e gestione di centrali sono attività che possono essere vantaggiosamente lasciate a imprenditori terzi, da mettere in concorrenza tra loro. La terziarizzazione dell’economia richiede anche da parte delle aziende energetiche un cambiamento di missione e di mentalità, centrate più sulla fornitura di un servizio che sulla produzione di un bene. Questo è l’obbiettivo che non si deve mancare.
Oggi si confrontano due tesi: privatizzare l’Enel in blocco così com’è, oppure mettere sul mercato separatamente aziende ottenute dallo scorporo delle tre attività, produzione, trasmissione e distribuzione. È uno scontro non tra destra e sinistra, ma tra chi crede nel mercato e che ne è diffidente: Gnutti contro An nella maggioranza, Cavazzuti e Visco contro Angius nel Pds. Questo scontro presenta due rischi: il primo è di portare a un nulla di fatto. Il secondo è di distogliere dall’immaginare un salto di qualità ancora più coraggioso, che lanci l’azienda come grande operatore nel mondo dei servizi. L’occasione c’è, ed è rappresentata dal libro verde comunitario sulla liberalizzazione delle infrastrutture telefoniche a partire dal i gennaio 1998, che nei prossimi giorni verrà reso pubblico. La proposta è che fin d’ora venga assegnata la concessione per la seconda rete fisica telefonica e che l’Enel vi concorra. L’ Enel ha molti titoli per farlo con successo: entra fisicamente in tutte le case, dispone già di una sua rete telefonica, con la telelettura dei contatori si appresta a realizzare una rete di raccolta di informazioni, dispone di competenze tecniche di valore e di un adeguato cash-flow. Questa anche in Germania è la strategia di alcune utility elettriche; in Inghilterra una filiale della National Grid ha steso 3.500 km di fibra ottica appesa ai piloni dell’alta tensione.
In tal modo si avrebbero numerosi vantaggi:
1. Credibilità internazionale per l’Italia: mentre viene contestata la lentezza con la quale procede il processo di privatizzazione e di liberalizzazione, per una volta anticiperemmo una decisione peraltro obbligata. E dalla nostra credibilità dipende anche il differenziale sui tassi di interesse rispetto agli altri paesi europei.
2. Maggiori introiti per il Tesoro: incasserebbe il corrispettivo della concessione; il valore dell’Enel da privatizzare risulterebbe ciò nonostante aumentato; mentre quello di Stet non sarebbe significativamente ridotto, dato che comunque fra tre anni perderebbe il monopolio dell’infrastruttura.
3. Una volta assegnata all’Enel una missione orientata ai servizi, separare il settore della produzione di energia, privatizzandolo separatamente dal resto dell’azienda, perderebbe ogni carattere punitivo perché risponderebbe a una logica di specializzazione.
Rimarrebbe certo il problema di separare le attività di trasmissione e di distribuzione, e di introdurre concorrenza in quest’ultima: a questa si potrebbe provvedere sia potenziando le aziende municipalizzate, sia imponendo con l’Authority la trasparenza dei costi di distribuzione, e quindi la possibilità di confronti competitivi tra diverse aree geografiche.
Può sembrare una proposta provocatoria. Ma rispetto alle attuali polemiche essa si pone un obbiettivo di efficienza-paese maggiore di quello che ciascuno dei due fronti mira oggi a conseguire.

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