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Nel discorso di Letta il suo orizzonte politico-culturale: Croce ed Einaudi, due liberali

Pubblicato il 02/10/2013 @ 11:39 in Giornali,Huffington Post


Troppa grazia Sant’Antonio! I liberisti (e i liberali) d’Italia non possono che registrare con soddisfazione che in un passaggio molto difficile del Paese, e cruciale per la sua sorte politica, Enrico Letta abbia iniziato e finito il suo discorso citando i due padri del pensiero liberale italiano, Luigi Einaudi e Benedetto Croce.

Val la pena di riportarli testualmente:

All’inizio Einaudi: nella vita delle Nazioni l’errore di non saper cogliere l’attimo può essere irreparabile.

Croce alla fine: Ciascuno di noi ora si ritiri nella sua profonda coscienza e procuri di non prepararsi, con il suo voto poco meditato, un pungente e vergognoso rimorso.

Iniziare e chiudere, per un discorso come per un articolo, è la cosa più difficile, le citazioni ti tolgono d’impaccio. Ma non è casuale che Letta abbia scelto due pensatori liberali, né senza conseguenze: perché così chiede la fiducia qualificando in modo inequivoco il suo orizzonte politico e culturale. Se si dichiara liberale dall’inizio alla fine quando chiede la fiducia, e quindi accetta che non solo il suo discorso, ma anche il suo governo sia giudicato in base ai valori liberali. Coloro che si sono metaforicamente spellati le mani leggendo, nell’intervista di Eugenio Scalfari, l’invettiva di Francesco contro il liberismo (ovviamente) “selvaggio”, prendano nota.

Ma è voluto anche l’ordine in cui sono messi, Einaudi prima e Croce dopo? La psicanalisi insegna che anche gli atti “mancati” portano un significato, rivelatore di pulsioni segrete, sconosciute perfino all’interessato. Come è noto, tra Croce ed Einaudi ci fu una vivace polemica: il filosofo napoletano affermava che il liberismo come «idea della libertà» può esistere anche separato da un sistema economico liberista, l’economista piemontese sosteneva che il liberalismo è inseparabile dal liberismo. Voluta o non voluta, nella disposizione delle citazioni, quella iniziale e quella finale, c’è una sapienza che va colta, c’è un messaggio che va decodificato.

L’Einaudi dell’attacco parla delle cose da fare subito. Invita all’azione, perché ci sono opportunità che se si attende possono non ripresentarsi. È come se Letta volesse dirci che lo muove l’ansia delle cose da fare, e sente incombere l’angoscia di quelle non fatte. Il Croce della chiusa parla della coscienza, profonda coscienza, invita alla meditazione, perché incombe il rimorso, pungente e vergognoso. Prima il breve tempo a disposizione per agire, poi il lungo tempo per macerarsi sugli errori fatti.

Ma le due citazioni non rimandano solo a un prima e un poi che li separa temporalmente, ma anche, a un sopra e un sotto, se mi si passa l’espressione, che li distingue logicamente: perché questo governo deve da un lato rilanciare l’economia, e dall’altro fare o almeno imboccare la strada di riforme istituzionali: quanto meno la legge elettorale e la riduzione del numero dei parlamentari, e forse anche su forma di stato forma di governo. Il liberalismo di Einaudi per i provvedimenti che riguardano la sfera economica, il liberismo di Croce per quelli che riguardano la sfera delle libertà personali, e quindi anche delle istituzioni. E della giustizia.

I discorsi politici, e quelli sulla fiducia in massimo grado, hanno i loro passaggi obbligati. E il discorso di Letta non fa eccezione. Lungo, sterminato, è l’elenco delle cose da completare e di quelle da iniziare, perché deve cercare il consenso, e tanti sono i desideri da soddisfare: e questa parte la metteremo nel segno di Einaudi. Più brevi gli accenni alle riforme istituzionali, in particolare a quelli che toccano la sfera delle libertà: su quel terreno deve evitare di dire le cose che ecciterebbero timori o risentimenti. E quelle le metteremmo sotto il segno di Croce. Povero Croce.

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