Marchionne sul lettino dello psicanalista

settembre 12, 2010


Pubblicato In: Giornali, Il Foglio


Nella testa dell’amministratore delegato

Il manager in pullover e l’analisi immaginaria del senatore Debenedetti

Ormai mi è chiarissimo: un Edipo grosso come una casa.Lo sospettavo già dalla prima seduta, quando sul lettino continuava a mormorare: “Quello che è bene per la Fiat è bene per il Paese, oppure quello che è bene per il Paese è bene per la Fiat?”. Un’evidente incertezza di ruolo, dovuta allo shock di un’ambigua scena primaria.

La riprova l’ho avuta dall’incontenibile reazione alla domanda se vedeva relazioni tra i 3 di Melfi e i 61 di Mirafiori del 1980: “Romiti, Romiti! Son capaci tutti, con le brigate rosse in casa! E’ col fermo dei carrelli che si vede se uno ha le palle!”. Per calmarlo gli ho chiesto di fare associazioni su Pomigliano: “Ci provo, con le associazioni, ma c’è qualcosa, o qualcuno, che mi sfugge sempre. Un professore l’aveva scritto qualche anno fa, facciamo una scommessa in azienda, tra imprenditore e lavoratori, e se vinciamo vinciamo tutti. Mi pareva una bella cosa, mi avevano detto che si poteva fare, che bastava che la maggioranza fosse d’accordo. E invece non è così, la regola della maggioranza vale dappertutto, ma non nelle fabbriche italiane. Adesso mi dicono che ci andrebbe o una firma o una legge, ma nessuno ha più una penna. Mi dicono che si potrebbe tentare, bisognerebbe però uscire da Confindustria, ma che Emma non vuole. Io non chiedo soldi, prometto investimenti che non hanno mai visto, lo metto nero su bianco, scrivo a tutti, parlo con tutti, ma nessuno mi crede. Forse su Melfi mi è scappata la frizione, ma giù tutti a parlar solo di quello, che è il passato, e invece su Pomigliano, che è infinitamente più importante, che è il futuro, della Fiat e dell’Italia, zitti e mosca: tutti, proprio tutti!”.

Di nuovo la figura del padre castrante: quasi piangeva. Pensai che poteva essere il momento per virare sulla sublimazione: “Ma a Rimini, tra i giovani di CL, il consenso era entusiastico. Qualcuno ha perfino arricciato il naso: un altro che vuole entrare in politica?”. Ritornò sereno: “Lo vede quanto sono bravo? C’è cascato anche lei. Ma scusi, se l’Epifani non arriva e il Sacconi resta chiuso, io che posso fare? Parlo, e siccome non sono masochista, lo faccio con chi so che è d’accordo, e gli dico le cose su cui è d’accordo. Ma fare l’Adriano Olivetti, o il Walter Rathenau, Comunità o azioni parallele, non scherziamo. Per quelle parti vanno meglio i presidenti, e quello mio di prima ha la sua Fondazione e quello di adesso la sua Juventus”. “Io sono sincero” – e invano cercai un’ombra di rossore sulla sua faccia – “ma lei pensa che questa sia una manfrina, che io chieda per farmi dire di no, e avere così il pretesto per lasciare l’Italia e andar a cercare le Serbie dove ci sono? I nostalgici delle lotte sociali che respingono i patti sociali non mi preoccupano, quelli si isolano da sé. Mi stupiscono quelli che, dato che io non chiedo soldi, si preoccupano di trovare qualcuno che me li dia. Parlano – ha letto recentemente certi editorialisti del Corriere della Sera? – di banche, di assicurazioni, di Cassa Depositi e Prestiti, di Sace, di sindacati che controllano il flusso transatlantico delle tecnologie, una sorta di Cocom al contrario. Ma perché mi vogliono per forza dare un padre?”.

E dàgli! “Ma perlomeno il problema l’han capito: che è sciocco parlare solo di costo del lavoro, di sfruttamento degli operai italiani portati al livello salariale di quelli del terzo mondo, quando il problema è il grado di utilizzo della capacità produttiva, che a Pomigliano è del 14% e in Polonia del 93%. Nel terzo mondo ci scivolano da soli se non aumentano la produttività. Io lo so qual è il mio vero problema, e vedo che qualcuno l’ha capito: avere nel cassetto modelli in numero e qualità sufficienti a raggiungere gli obbiettivi di vendita”. Temevo che finisse come la solito, con lui che tira fuori grafici e presentazioni in Powerpoint. Il tempo era trascorso e io sono un freudiano preciso. Mentre finivo di prendere i miei appunti lo sentii mormorare: “Ma quello che è un bene sicuro per il Paese, sarà un bene sufficiente per la Fiat?”.

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