Maastricht? L’ultima frontiera del Welfare

settembre 17, 1996


Pubblicato In: Giornali, La Stampa


È proprio vero che in Europa si avvia ad essere dominante, coma ha sostenuto seppure con l’abituale maestria su questo giornale, Barbara Spinelli, una sorta di “pensiero unico”? Che ormai un nuovo paradigma vige incontrastato in politica e in economia, universalmente accettato e acriticamente seguito, che ha i suoi cardini in globalizzazione dei mercati finanziari e quindi impraticabilità di politiche di spesa, in priorità alla lotta all’inflazione e quindi flessibilità nell’impiego del lavoro e riforma del Welfare?

Le cose non stanno proprio in questo modo: ne sono conferma i dibattiti che hanno luogo in questa settimana qui a Vienna – lontano dai riflettori della stampa, sono ammessi solo i soci ed i loro ospiti- nella riunione annuale della Mont Pelerin Society, l’associazione fondata nel 1947 da Friederich von Hayek e da Karl Popper. L’occasione ha richiamato 500 economisti da tutto il mondo, tra cui due premi Nobel. Seguaci della scuola economico-filosofica austriaca, sono uniti dalla convinzione che l’individuo, la sua libera scelta e la sua personale responsabilità, sono il fondamento della società, che i mercati concorrenziali ed il ritrarsi dello stato dai compiti esorbitanti in cui si venuto dilatando sono condizioni di prosperità economica e garanzia di libertà.
L’impressione superficiale, a sette anni dalla caduta del muro e del comunismo, potrebbe essere che questa sia in realtà la strada maestra da tutti abbracciata e senza alternativa in Europa. Gli individualisti liberisti della Mont Pelerin Society fino al 1975 hanno dovuto vivere un vero e proprio esilio ideale, perché la realtà dei rapporti tra stato e mercato nel mondo occidentale andava in direzione opposta a quanto essi propugnavano.
Allora, di fronte all’esplodere di inflazione e conflittualità, furono studiosi come Samuel Huntington a denunciare il non più oltre sostenibile “sovraccarico” delle funzioni dello stato. Da allora, e sono passati vent’anni, si è aperta in Europa occidentale la lunga battaglia di coloro che ritengono riformabile sì il Welfare ma senza cambiare i principi assunti come bandiera della civiltà europea, contro coloro che ritengono indispensabile il ritrarsi dello “stato rigido” difeso dai primi.

Il paradosso, ma non tanto, è che questa seconda tesi sembra soccombere nell’Europa che guarda alla moneta unica, e che il collasso del collettivismo – quarant’anni dopo che Ludwig von Mises aveva enunciato il teorema della impossibilità del calcolo economico in una società socialista- anziché il trionfo del liberismo, viene piuttosto interpretato come “fine della storia”, secondo la visione di Francis Fukuyama, che avrebbe nel “pensiero unico” il suo verbo.
Il paradosso è che nell’Europa di Maastricht, anziché al diffondersi di idee liberiste, si assiste ad un cauto arretrare – qualche liberalizzazione, qualche riforma dello stato sociale -; in marcato contrasto con l’inventiva ed il coraggio con cui l’altra Europa, ai confini orientali, ha saputo consentire al mercato di rapidamente riformarsi, ed alcuni paesi dell’America Latina sono riusciti ad impostare un sistema di sicurezza sociale che non comporta il fallimento delle finanze dello stato.

A fronte di una visione strumentale del liberismo, che vede il mercato solo come rimedio al fallimento del collettivismo, stanno le proposte della scuola liberista sui problemi con cui quotidianamente ci confrontiamo: il futuro dell’Europa della moneta unica; privatizzazioni; democrazia e corruzione politica; difesa dalla criminalità; immigrazione e fondamentalismo religioso; rapporti tra invecchiamento della popolazione, Welfare, famiglia.
Idee eterodosse rispetto ad una vulgata secondo cui il mercato è automaticamente “selvaggio” e l’individualismo inesorabilmente “estremo”. Ma senza il sale di queste idee il rischio è che l’Europa di Maastricht si traduca nell’estrema linea difensiva del Welfare europeo così com’è, col risultato che i veri partiti conservatori risultino essere quelli oggi al potere in Francia e Germania. E naturalmente anche in Italia, con il suo governo crepuscolare, ripiegato su mediazioni di “alta amministrazione”.

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