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Ma il dominio di Windows ha generato anche vantaggi

Pubblicato il 07/11/1999 @ 12:05 in Giornali,Il Sole 24 Ore


Il giudice federale Jackson ha ritenuto che Microsoft abbia usato della sua posizione dominante nel software dei personal computer per restringere le possibilità di scelta dei consumatori: la sentenza potrà essere analizzata quando se ne conoscerà il dispositivo. Ma ogni sentenza ha anche una valenza «politica», nel senso che si alimenta del sentimento della popolazione sulle questioni che il processo solleva. E il dato «politico» che emerge netto è che per la rule of law l’interesse dei consumatori — quello che il giudice ha ritenuto essere l’interesse dei consumatori — prevale su tutto il resto.

E il «resto» sono argomenti pesanti. Prima di tutto non è af­fatto evidente che inserire il browser Explorer in Windows non avvantaggi invece i consumatori, facilitando l’accesso a Internet, e quindi favorendone la diffusione.
Certo, Windows è diventato l’esperanto del PC, e grazie alla sua diffusione Microsoft si è conquistata una posizione dominan te; ma così si è anche creato un mercato unificato per milioni di sviluppatori di programmi applicativi, per milioni di utenti. E l’importanza di linguaggi unificati per lo sviluppo di un mercato è dimostrata, e contrario, dai telefoni cellulari, dove gli USA sono ri masti indietro rispetto all’Europa proprio per la molteplicità di si sterni tra loro incompatibili (oltre che da un sistema tariffario che penalizza la telefonata che si origina dal fisso).
E poi Bill Gates la sua posizione dominante se la è conquista ta, non gli è stata consegnata con un atto dell’autorità, governo, o giudice, o regolatore. Bill Gates è l’Horatio Alger dei nostri gior ni, è grazie allo spirito che ha dato vita alle tante Microsoft se si è affermato in USA il nuovo paradigma tecnologico e industriale. È i; sazie a questo spirito di frontiera, e al miraggio degli utili, che si leve l’incredibile vivacità e durata del boom americano. È anche grazie alle tante Microsoft se l’indice Dow Jones ha superato quota 10.000; e i consumatori sono anche risparmiatori, anzi è proprio lell’esuberante crescita dei valori azionari che si alimenta la cre­scita dei consumi.
Nell’accordare un tale privilegio ai consumatori, c’è sempre il rischio di cadere nel populismo, come dimostrano recenti episodi giudiziari. È di pochi giorni fa la transazione che è costata alla Toshiba quasi 2000 miliardi di lire, senza che nessuno po­tesse dimostrare di aver ricevuto un danno, solo perché esisteva la possibilità di un malfunzionamento nel trasferire i dati al floppy disk dei suoi PC. O come la causa per danni che il gover­no federale intende intentare ai produttori di sigarette (che già l’anno pagato alcune centinaia di miliardi di dollari ai governi degli Stati) per rivalersi delle spese in più sostenute nella cura delle malattie indotte dal fumo, senza considerare che queste maggiori spese sanitarie sono più che compensate — purtroppo — dalle minori spese pensionistiche. A noi questa non sembra giu­stizia, ma ricatto.
Questo è un caso diverso, ma anche qui la sentenza si basa sulla – vera o presunta — difesa del consumatore. Di fronte al suo be­ne — vero o presunto — passano in secondo piano le ragioni del mercato, dell’industria, della tecnologia. Così è stato in tempi re­centi, per AT&T, così sarebbe succeduto anche a IBM, non fosse stata proprio la vivacità del mercato dei personal computer a met­tere in crisi i grandi calcolatori, modificando così il gioco mentre gli avvocati discutevano. Di nuovo e sorprendente c’è che qui si passa davanti perfino al mito americano.
Impossibile allora evitare che vengano alla mente, per contrasto, le vicende di casa nostra, dove invece il mito della dimensio­ne, del campione nazionale, dell’intangibilità di perimetri aziendali, e degli organici aziendali, sono invece il valore di fondo che il processo di privatizzazione ha voluto preservare. Non il consu­matore, ma la stabilità come valore prevalente. La politica italiana farà un passo avanti quando capirà che deve privilegiare gli inte­ressi diffusi, come i consumatori degli USA, rispetto a quelli orga­nizzati, come avviene da noi.

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