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L’unica carta della sinistra

Pubblicato il 02/07/1999 @ 12:15 in Giornali,Il Messaggero


Nella battaglia sul DPEF ha vinto il sindacato

Nella battaglia sul DPEF ha vinto il sindacato. Che Massimo D’Alema potesse in parte arretrare dopo aver portato il colpo, era prevedibile; ma, complice il risultato di Bologna, la vittoria é stata più rapida, il risultato più netto.
Le pensioni continuano ad essere l’arma impropria della politica.

Lo furono all’epoca del Governo Berlusconi, l’iniziativa del sindacato era coerente con l’obbiettivo politico di far cadere un governo di destra; giacchè, quanto al merito, anche Romano Prodi e Franco Modigliani firmarono il mio appello a sostegno della proposta Berlusconi-Dini.
Oggi, proponendo una politica di spese “alla Jospin” dopo le europee, difendendo l’intangibilità delle pensioni di anzianità, proponendo di recuperare il minor gettito IRAP aumentando le tasse, Sergio Cofferati fa del sindacato il depositario dei – supposti – valori della sinistra, il soggetto che può “restituirle l’anima”. Ma il risultato netto é di ridurre il margine di manovra del governo: senza alcuna contropartita in termini di consenso. Questo, non le pensioni, é il problema che ora sta davanti alla sinistra. Per usare una delle metafore tennistiche lanciate da Giuliano Amato, indubbiamente Sergio Cofferati ha vinto il set; vincerà anche la partita?

Il sindacato ha fatto muro, e il muro ha tenuto; ma l’affondo di D’Alema e Amato ha lasciato crepe. E’ chiaro a sempre più persone che le pensioni di anzianità sono una causa persa, nessun paese può permettersi di mandare in pensione dei cinquantenni e di mantenerli per un quarto di secolo.
E’ chiaro che rifiutandosi anche solo di prendere visione prima del 2001 di dati estrapolabili con buona precisione, facendo perdere così due anni preziosi, il sindacato ha vinto, ma ha vinto con la strategia dello struzzo. E’ chiara la strumentalizzazione della sconfitta di Bologna, come se il malessere dei DS a Bologna non fosse noto, tant’è che il risultato mi era stato predetto un membro diessino del Governo sette mesi fa, quando al Tesoro c’era Ciampi, l’Asinello ancora non scalciava, e Guazzaloca ancora tagliava le fettine.
E’ chiaro che chiedere di compensare il risparmio sulle pensioni aumentando il gettito IRAP, va contro la promessa del Governo di ridurre le tasse delle imprese: l’invarianza fiscale é finalizzata al saldo di bilancio dello stato, non significa costanza del prelievo dalle singole imprese. La rigidità negoziale va di pari passo con la debolezza delle ragioni; nell’affanno argomentativo può tornare utile lasciar perdurare l’equivoco che si vogliano toccare le pensioni di chi già é in pensione, cosa che non é mai stata in discussione.
Cofferati ricorda ai partiti di sinistra che il sindacato porta dieci milioni di voti. Ma l’errore sta proprio nell’assumere questa prospettiva, nel non chiedersi invece: quanti voti ha strappato al Polo la reazione dei sindacati? Difendere “come le leggi dei Medi e dei Persani” la mezza riforma di Prodi non conquista nessun voto a destra. E finisce col portare direttamente voti alla destra, come quando si propone di aumentare le tasse: un classico del masochismo di sinistra.

Conquistare i voti in un paese tendenzialmente di destra: nella ricerca della soluzione a questo problema, i rapporti politici all’interno della sinistra si tendono lungo due direttrici disassate tra loro, la direttrice liberisti-statalisti, e quella ulivisti- “cosisti”.
Come cultura e storia gli ulivisti avrebbero posizioni politiche più prossime a quelle dei liberisti; e i liberisti dovrebbero privilegiare forme organizzative più aperte e “concorrenziali”. Ma quando lo scontro è di potere più che politico, i rapporti di forza prevalgono sulle affinità programmatiche. Così abbiamo assistito alla sponda offerta da Prodi a Bertinotti, come per la legge sulle 35 ore avversata da D’Alema; e così oggi discutiamo di un DPEF liberista redatto dai “cosisti” membri del governo. Finisce così che Cofferati difendendo le pensioni offre un aiuto agli ulivisti che pure non sono vicini alle posizioni del sindacato; e gli ulivisti finiscono per favorire gli statalisti anziché i liberisti che stanno al Governo.

“Non possiamo tirare a campare. Non esistono scorciatoie o strategie di minore impatto e forse di maggiore consenso immediato. Chi sostiene non le ragioni di oggi ma quelle del mondo di 20 anni fa è destinato ad essere sconfitto.” Questa parole forti ha pronunciato ieri D’Alema. Egli pensa che la sinistra abbia una sola carta da giocare, far sì che “la prima volta” della sinistra al Governo non divenga una memoria da conservare, ma l’occasione di dimostrare che sa governare il paese verso la crescita economica. Sa che questa potrebbe essere per la sinistra l’unica occasione in molti anni per giocarla, questa carta; pensa che, complice la congiuntura, potrebbe essere una buona carta. Col DPEF D’Alema e Amato offrivano uno scambio alle parti sociali, riforme e riduzione delle protezioni per puntare tutto quello che Maastricht consente sulla ripresa dello sviluppo. Il paradosso è che Billè ha detto di sì, Cofferati – per il momento – ha risposto no; e che gli ulivisti – per il momento- gli dànno ragione. E questo paradosso è la crepa più profonda nel muro eretto dal sindacato.
Per ora Cofferati ha vinto il set, può anche vincere la partita. Ma in quel caso perdiamo il torneo: tutti noi italiani, non solo quelli di sinistra.

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