Liquidare l’Iri (senza Finmeccanica)

gennaio 24, 1999


Pubblicato In: Giornali, Il Sole 24 Ore


La decisione dell’inglese General Electric Company di vendere la Marconi alla British Aerospace ha profondamente modificato l’intero settore dell’industria militare mondiale. E il terremoto ha prodotto onde sismiche che si sono propagate fin da noi, con in sospettate ripercussioni. Esse infatti investono in modo diretto uno degli impegni tra i più importanti assunto dal Governo: la liquidazione dell’IRI entro giugno 2000, come da mandato esplicitamente affidato al suo presidente Gian Maria Gros Pietro.

L’ormai limitato tempo a disposizione per tale rilevante obbiettivo, nonché il preoccupante silenzio che la politica ha fatto cadere su di esso, inducono a ritenere che esso possa essere conseguito solo attraverso uno strumento nuovo, al quale mai si è fatto ricorso nel corso della travagliata storia italiana delle privatizzazioni. E’sotto gli occhi di tutti che il processo di privatizzazioni ha perso molta della forza propulsiva che la cogenza della rincorsa all’euro gli conferiva.
«Le mie tasche ormai sono vuote, restano solo gli immobili» ha detto il Ministro Ciampi il 13 gennaio scorso al Sole 24 ore che lo interrogava sull’andamento delle privatizzazioni. Per il 5% di Telecom si può parlare di dimenticanza; per Enel di amnesia diplomatica; per il 35% dell’Eni si fatica ad estendere la scusa. Ma, anche a voler condividere l’ottimismo del Ministro del Tesoro su Aeroporti e Autostrade, resta integralmente il nodo della liquidazione dell’IRI. Desta preoccupazione che un uomo preciso e deciso come Carlo Azeglio Ciampi un impegno di questa portata. Anche perché chiudere l’IRI significa chiudere simbolicamente un’epoca, sottrarne il perpetuarsi di ogni possibile tentazione. Ed é qui che arrivano le onde del sisma inglese. Perché l’Iri non si liquida se non si vede Finmeccanica. E Finmeccanica significa, appunto, soprattutto, industria della difesa.
Che il mutato scenario internazionale e l’integrazione europea dovesse portare a un consolidamento nel settore delle produzioni per la difesa era evidente. La prospettiva di integrazione tra la Daimler Chrysler Aerospace, Aerospatiale e British Aerospace era stata avallata dai capi dei rispettivi governi nel dicembre 1997. Invece acquisendo Marconi BAe ha consolidato da sola il settore, è diventata il secondo gruppo mondiale. Non solo saltato quel piano, si è affermata una diversa filosofia: l’aggregazione tra imprese è la trascrizione sul piano industriale delle alleanze tra paesi, pilotata e ratificata dai rispettivi governi; bensì segue solo le logiche delle sinergie industriali e delle convenienze economiche. Anche il settore militare si è affrancato dalle tutele nazionali per seguire solo il nuovo verbo della creazione del valore.
Se la prospettiva di creare un polo militare europeo si allontana di anni, come suggeriscono le reazioni francese e tedesca, svanisce la speranza di scambiare la parte militare e spaziale di Finmeccanica con una dignitosa quota di minoranza in un raggruppamento europeo. E se il nodo Finmeccanica non viene sciolto , è facile prevedere che altri intoppi sorgeranno sul percorso di Aeroporti, Autostrade, Alitalia verso il mercato, questa specie di gioco dell’oca di inesauribile fantasia: back to square one!
Finmeccanica è presente in quasi tutti i settori (radar, elicotteri, spazio, missili, blindati, aeronautica militare e civile), in molti ha una presenza dignitosa, ma o per dimensioni, o per gamma, o per tecnologia, in nessuno è leader.
Per i trasporti ci sono acquirenti industriali europei, per l’energia si tratta di determinare la dote. Ma se non si vende il militare, il “casuale” insorgere di difficoltà e di intoppi si moltiplicherà e investirà le residue partecipazioni non solo di Finmeccanica, ma dell’IRI stessa.
Le soluzioni classiche appaiono difficilmente praticabili. Il nocciolo duro italiano con esperienza industriale è di improbabile individuazione. Cedere a più imprenditori i singoli rami d’azienda sulla base di un piano industriale, lasciando a loro di trovare le alleanze migliori, sarebbe economicamente la cosa giusta, ma è per l’IRI politicamente impraticabile: già par di sentire le urla contro lo “spezzatino”. Scambiare i singoli rami d’azienda con quote azionarie di imprese leader nei vari settori, è forse rinunciatario.
Se non si trova presto una soluzione per Finmeccanica l’IRI finirà per non essere liquidata, o continuerà a vivere sotto le spoglie di una direzione generale, accentrata al Tesoro, o dispersa tra più Ministeri. Il Governo verrà meno ad un solenne impegno, resterà l’anomalia dello stato imprenditore, con i suoi effetti di spiazzamento, quando non di corruzione verso l’ambiente economico.
Ecco perché serve lo strumento nuovo di cui si parlava all’inizio. Il nodo Finmeccanica può essere sciolto con successo e in tempi ragionevoli cedendo tutti i rami d’azienda nel militare (senza quindi gli head quarters di Finmeccanica, tanto per essere chiari) a un fondo, scelto dall’IRI formalmente sulla base di un piano industriale, sostanzialmente in base alla vocazione di cercare il proprio utile nella valorizzazione di realtà industriali.
La ragione per cui non può essere l’IRI stessa a realizzare tale piano non è tecnica, ma politica: dovrebbe superare i veti politici ad ogni singola decisione. Il fondo può consentire di distanziare ulteriormente la realizzazione del piano industriale dalle interferenze dei partiti. Piano largamente fiduciario, flessibile al suo interno: valorizzare ciò che vale significa rinunciare a ciò che è debole.
D’altra parte, se mancano imprenditori del settore è anche perché lo stato ne ha preso il posto, e a questa mancanza non si pone rimedio allontanando il momento della verità.
Sul piano tecnico, altri potranno affinare la proposta. Quello che qui si vuole sollevare è un problema politico di prima grandezza: mantenere l’impegno del governo a liquidare l’IRI entro la data promessa. Il Ministro Ciampi ha sempre sostenuto che le manovre per entrare nella moneta unica erano strutturali e non congiunturali, che il paese ha capito ed è cambiato.
Completare le privatizzazioni anche quando si è passato l’esame è un modo per dimostrarlo.

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