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L’Europa delle società bloccate

Pubblicato il 05/02/2012 @ 10:01 in Giornali,Il Sole 24 Ore


Vera concorrenza se calano le proprietà pubbliche.

Ci sono due Europe: c’è l’Europa a 27, quella del mercato unico, e l’Europa a 17, quella dell’euro. La moneta unica, invocata quale mezzo necessario per completare l’unione economica, è diventata, una volta introdotta, strumento per rendere imprescindibile l’unione politica. Per gli europeisti convinti, un’Europa ridotta solo ad area di libero scambio sarebbe la svendita di un ideale: ma si deve constatare che mentre l’Europa dell’unione economica vede gli aderenti, stati e cittadini, sostanzialmente soddisfatti, l’Europa dell’unione politica è attraversata da fratture profonde. La proprietà pubblica di attività economiche erige barriere tra stati, tiene in vita vestigia nazionalistiche: eliminarle è l’aiuto che l’Europa dei 27 puo’ dare a quella dei 17.

La norma europea sulla concorrenza non discrimina rispetto alla proprietà, pubblica e privata: a essere vietati sono, in entrambi i casi, gli aiuti di stato, anche sotto forma di tassi di interessi nei finanziamenti. Una norma di buone intenzioni ma di sostanziale ipocrisia: intanto perché, e lo si è ben visto in questa crisi del credito, conta non solo il tasso di interesse, ma anche la disponibilità di danaro. E poi perché all’impresa pubblica viene attribuita una maggiore facilità, oltre nell’accesso a credito, anche nei rapporti con il regolatore: e questa opinione è sufficiente a dissuadere chi volesse entrare in un settore dove opera un’azienda pubblica, o a trovare un accordo, dunque a distorcere il quadro competitivo del settore.

Oltre che nel mercato di beni e servizi, la proprietà pubblica ostacola la concorrenza in quello dei diritti di proprietà. Chi lancerebbe un’OPA su un’impresa dove lo stato ha una partecipazione strategica? Vale anche il contrario: qualcuno ricorderà che una fusione con Deutsche Telekom, pensata da Bernabé per respingere l’OPA di Colaninno, venne bloccata in base al principio che un’impresa che l’Italia aveva privatizzata non poteva essere rinazionalizzata in Germania. E’ vero, ostacoli alla mobilità ci sono anche quando la proprietà è privata, o quasi, come nel caso delle banche possedute da fondazioni: ma se la querelle è tra città, come tra Torino e Milano, un grattacielo risolve il problema, (e se è tra contrade, come a Siena, non si risolve mai). Di Edison si occupano i primi ministri e la querelle dura vent’anni; del latte, se ne occupano i segretari di partiti e si risolve presto. C’é differenza tra provincialismo e nazionalismo, tra campanilismo e colbertismo. Ridurre il tasso di nazionalismo e rinunciare ai campioni nazionali: questo è l’aiuto che l’Europa del mercato unico può dare a se stessa per il proprio completamento e all’Europa politica per la riduzione delle sue tensioni interne.

E’ contraddittorio volere un’unione fiscale e mantenere campioni nazionali a presidio di settori industriali. Non si può imporre ai paesi deboli sia i sacrifici per adeguarsi alla virtù di bilancio sia la supremazia industriale dei più forti; né d’altro canto si possono volere gli eurobond e non esigere che essi mobilitino le capacità produttive di tutta l’Europa. Uno stato indebitato potrebbe avvantaggiarsi a vendere le aziende che controlla: non lo farà se pensa che verranno comperate da aziende “straniere”, potrebbe farlo se tutte le aziende, le acquirenti e le acquisite, fossero parte di un grande pool industriale europeo. L’abolizione del concetto di campione nazionale metterebbe d’accordo sia i liberisti per cui “the business of government is not the government of business”, sia i costruttivisti che avrebbero il livello europeo su cui esercitarsi con i loro piani. La mappa degli interessi economici, che oggi mostra marcate segmentazioni tra stati, apparirebbe come un fitto reticolo di relazioni di alleanze e di competizioni, che sono la realtà e la ricchezza dell’Europa.

Non si propone certo, è appena il caso di dirlo, una sorta di gigantesco piano Guarino a livello europeo, né tanto meno un programma di privatizzazione forzato. Si tratta solo di adottare un criterio diverso in tema di concorrenza, e di iniziare ad attuarlo con alcune iniziative di alta visibilità. Il criterio è quello di non considerare più la proprietà pubblica ininfluente agli effetti della concorrenza; di conseguenza il concetto di campione nazionale non ha più corso all’interno dell’Unione; in Europa c’è un unico mercato dei diritti di proprietà, e la competizione per il controllo si svolge secondo regole certe, senza discrezionalità da parte delle autorità di controllo nazionali. Le iniziative sono alcune privatizzazioni. Ci sono casi, penso alle Landesbanken, dove gli ostacoli sarebbero formidabili, ma in altri basterebbe volerlo: ad esempio, in questa nuova prospettiva, non si vede che cosa cambierebbe se il controllo di Deutsche Telekom fosse in mano di investitori europei anziché del governo tedesco. In tal caso anche per la privatizzazione di Snam Rete Gas si aprirebbero altre strade che non la solita semi-verginità custodita dalla Cassa.

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