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L’efficacia della normativa sull’usura

Pubblicato il 28/10/2011 @ 00:09 in Convegni



Le norme contro l’usura come esempio di stato criminogeno

La legge 108/96 l’ho conosciuta in fasce, nel 94, nei primi mesi della mia vita parlamentare, che erano anche i primi mesi del Governo Berlusconi. Del fatto che non mi fosse piaciuta molto non c’è traccia nei verbali del Senato: la Senato la legge fu approvata non in aula ma nella seconda Commissione, in sede deliberante. Io ero alla 10 che doveva solo dare parere consultivo.

A ripensarci è singolare e premonitore il fatto che un Governo che si diceva liberista, proponesse a firma da un ministro liberale come Biondi una legge liberale solo in superficie, in realtà impregnata di costruttivismo giuridico e di rigidità numeriche, nella tradizione della cultura tecnocratica nazionale e dell’Europa continentale.

La spolverata liberale, che rende il reato per così dire autonomo dalle circostanze soggettive in cui si trova colui a danni del quale viene commesso l’illecito, è più che compensata dal fatto che la sussistenza del reato è fatta dipendere dallo stare di qua o di là di una soglia numerica, la cui determinazione è affidata a un soggetto terzo, la Banca d’Italia.

Pensavo che la soglia usuraia, come tutte le discontinuità- il salario minimo, il numero dei dipendenti per l’applicazione dell’art.18, gli scalini e scaloni pensionistici, le aliquote fiscali – avrebbero inevitabilmente fatto danni. E quanto a costruttivismo giuridico, mi sembrava facesse il paio con un’altra legge, questa volta presentata da un mio collega senatore, volta ad imporre dei limiti rigidi ai termini di pagamento ( con connesse sanzioni), che fu approvata e non so se mai applicata.

Più che presiedere, io spero di trovare risposte alle domande che mi facevo allora e che mi faccio 15 anni dopo in una situazione in cui i temi dei debiti e dei tassi sono al centro dei nostri più ansiosi interrogativi. E che provo ad elencare senza pretese di ordine logico.

Il mafioso che presta a tassi da strozzino soldi provenienti di attività criminali, e utilizza persuasivi mezzi per riscuotere capitale e interesse, è ad ogni evidenza diverso, con buona pace di Brecht, da una banca che calca troppo la mano, ma anche dal conoscente che gioca sull’effetto dell’interesse composto. Il legislatore dovrebbe cercare di isolare il criminale, non di accomunargli chi lucra sulla disparità di potere economico. Quindi questo tipo di usura potrebbe essere assorbito in quello di riciclaggio: infatti i fondi utilizzati per prestiti usurai in ambito criminale provengono da attività illecite, quindi sono oggetto del reato di riciclaggio. Le due fattispecie sono due facce della stessa medaglia, senza il primo non potrebbe esistere il secondo).
Il sistema capitalistico si basa sul rapporto tra rischio e remunerazione. Se pongo un limite alla remunerazione del capitale, rendo non finanziabili iniziative rischiose. Si dimentica che sono solo le storie di successo che fanno la storia: per un’Apple, quante sono le aziende passate nell’oblio perché fallite? Eppure all’inizio sembrava avessero le stesse chance. Perché non dovrebbe esserci, accanto al credito bancario ufficialmente riconosciuto, un settore di credito con garanzia di serietà ma con tassi più elevati?
Costrette dal limite usurario, le banche cercheranno di rifarsi sul altri elementi di costo del finanziamento, che vanno a comporre il cosiddetto TAEG, oppure di ridurre il rischio aumentando il valore del collateral, che per il cliente è sempre causa di aumento di costo o di razionamento del credito. Invece di spingere le banche a fare chiarezza le spingiamo verso l’opacità. Bisognerebbe dunque spostare l’attenzione della normativa dal tasso di interesse al costo complessivo del finanziamento, ovvero all’ammontare effettivo sborsato da un cliente.
Quando una società è in crisi, ha spesso bisogno di finanza a breve, il c.d. “bridge financing”, per negoziare un accordo di ristrutturazione con le banche (e gli azionisti).

Ergo il finanziatore e’ disposto a finanziare solo se: (i) il finanziamento e’ protetto da speciali garanzie; e/o (ii) il capitale e’ remunerato adeguatamente.

Da un lato, la nostra Legge Fallimentare non protegge adeguatamente i finanziamenti ponte se non in circostanze molto limitate (concordato preventivo – Art. 160 e seguenti L.F.), l’aspetto della remunerazione del rischio è da noi ancora più importante che nei paesi che invece forniscono quella protezione (USA con Chapter 11): dall’altro le norme sull’usura non consentono un’adeguata remunerazione.

Se si trattano le banche come i mafiosi, costringiamo le imprese in crisi a rivolgersi proprio a fonti di finanziamento illecito. Un altro esempio di stato criminogeno, però sfuggito al signore che ci aveva scritto un pregevole libretto con quel nome.

Tutta l’economia della seconda rivoluzione industriale è basata sul credito. La storia, narrata da Hyman in Debtor nation, è istruttiva. Prima del 1917 era illegale negli USA applicare interessi sufficienti da rendere conveniente il credito personale. Perché i Carnegie e i Morgan avrebbero dovuto prestare soldi agli operai delle acciaierie quando potevano guadagnare usando il proprio capitale per costruire le acciaierie? Per gli imprevisti della vita c’erano gli strozzini, i loan sharks: prestavano a interessi dal 13 al 20% annuo, ma quanto a potere finanziario non potevano competere con i grandi. Eppure alla fine del XX secolo, questi piccoli prestiti erano diventati uno dei prodotti più importanti prodotti dell’economia capitalistica, estratto e commerciato come una commodity, reale quanto l’acciaio. Anche se i grandi utili continuavano a farsi fabbricando i prodotti di massa, i consumatori avevano bisogno di finanziamenti per poter comperare i nuovi beni che venivano sfornati in gran quantità. E significativamente proprio in quegli anni vennero rilassate le leggi sull’usura, per consentire alle banche di ridurre lo spazio di mercato degli strozzini. Al credito è legata tutta la storia dell’economia americana, e, ricordando da dove vengono i beni che vengono acquistati, a ben vedere quella del mondo intero. Ma se è così, non è un po’ strano che tutta questa costruzione debba poggiare sul limite rigoroso della media dei tassi di interessi registrati nei sei mesi passati?

La liceità di estrarre interessi dai prestiti, cioè di guadagnare sul tempo, che invece è un bene comune, ha una storia antica, che riservò agli ebrei un ruolo singolare, producendo uno dei più clamorosi esempi di conseguenze inintenzionali di fatti intenzionali. La vicenda dell’usura mi ricorda quanto successe nel Regno di Napoli, una delle volte in cui gli ebrei furono scacciati: senza la loro concorrenza, gli interessi sui prestiti si impennarono, al punto da provocare tumulti al grido “ridateci i nostri ebrei”.

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