Le tracce dei dati e le libertà in pericolo

aprile 11, 2016


Pubblicato In: Giornali, Il Sole 24 Ore


Si vedono sempre più porte con una serratura nuova: è quella che neutralizza la cosiddetta chiave bulgara, inesorabile contro le serrature tradizionali. Un’innovazione tecnologica ci aiuta a difendere i beni che custodiamo nelle nostre case, e i valori, economici, simbolici, affettivi, che ne fanno la nostra “proprietà”.

Chiavi, serrature, proprietà sono al centro della battaglia ingaggiata dall’Fbi contro Apple. I “federali” esigevano che la società di Cupertino fornisse la chiave per aprire lo smartphone di uno degli autori della strage di San Bernardino, ma l’azienda si rifiutava: non voleva venir meno alla assicurazione fornita ai suoi clienti, di aver munito l’ultima versione dell’iPhone con una “serratura” in grado di proteggere la loro “proprietà”. La posizione dell’Fbi non sembrava fortissima: perché è difficile sostenere che eliminare la serratura sia un modo efficace di contrastare i ladri, compresi quelli elettronici; perché non sembra essere nei poteri di un’agenzia di investigazione imporre a un’azienda che prodotto deve fare; infine, ed è l’argomento decisivo, perché stabilire se ed in quali limiti sia consentito crittografare, deve farlo il parlamento con una legge, non un tribunale con una sentenza. Non sono la guardia di finanza o l’agenzia delle entrate che hanno abolito il segreto bancario, ma accordi tra Stati. In ogni modo ci ha pensato una società israeliana a cavare d’impaccio l’Fbi, annunciando di avere trovato la “chiave” per forzare la “serratura”.

Trovare l’analogo elettronico di “chiavi” e “serrature” è intuitivo: più complicato individuare l’analogo di “proprietà”. Lo sono ovviamente i testi che scriviamo, i calcoli che facciamo,i dati che organizziamo, le comunicazioni scritte e orali: sono nostra “proprietà”, alla stessa stregua dei beni di casa. Ma c’è anche l’immensa quantità di altri dati che la tecnologia digitale consente di acquisire, e che Big Data sa come conservare, ordinare, confrontare: sono le tracce che noi lasciamo dietro di noi. Nell’era digitale, le tracce sono la circunstancia del famoso detto di OrtegayGasset. «Yo soy yo y mi circunstancia, y si no la salvo a ella no me salvo yo». Tracce sono la nostra posizione rilevata dalle app, i nostri libri acquistati da Amazon, i nostri viaggi prenotati da Booking. Noi accettiamo che esse vengano “salvate” perché questo ci serve per “salvare” noi stessi, la nostra identità: perché da un lato ne ricaviamo vantaggi di cui non sapremmo più fare a meno, e dall’altro ci sentiamo garantiti da un contratto, esplicito o implicito, che quei dati non saranno mai usati nominativamente.

Lasciamo tracce anche quando spendiamo i nostri soldi: anzi, questa è forse la circunstancia più legata alla nostra identità, che quindi gelosamente custodiamo. Libertà è (anche) libertà di disporre dei propri averi, senza doverne rendere conto ad altri contro la nostra volontà. La legge (il Salva Italia di Monti) vuole rendere tracciabili le tracce: da aprile gli operatori finanziari dovranno automaticamente trasmettere all’Agenzia delle Entrate movimentazioni dei conti correnti, saldi, giacenze, investimenti, carte di credito, bancomat, accessi alle cassette di sicurezza. La legge originariamente faceva riferimento a “liste selettive ” di contribuenti sospetti, adesso ad una più generica “analisi del rischio di evasione”: basta per condividere l’ottimismo di Antonello Soro, garante della privacy, per cui questa nuova formulazione «impedisce di fatto un controllo generalizzato e diffuso di tutti i contribuenti»? Impedisce? Di fatto? Miliardi di dati solo per «l’analisi del rischio»? A preoccupare non è la fase di contestazione di evasione e il successivo accertamento, dove ci sono procedure e garanzie, ma quella di “analisi del rischio”, che potrebbe finire come intrusione in dati personali. Vederci il grande fratello è probabilmente paranoia; ma non è esagerato temere che i nostri dati vengano usati per profilarci, o finiscano nelle mani di un funzionario infedele, o vengano intercettati da un hacker. Almeno si limiti il tempo oltre il quale i dati devono essere distrutti: sei anni ha chiesto il garante, e sembrano davvero troppi. Per farsi aprire la porta di casa, le forze dell’ordine devono avere un decreto del magistrato: qui tutte le porte sono state aperte, e nessuno garantisce l’uso corretto di ciò che si trova. Che almeno ci sia un’autorità terza, con i poteri e mezzi tecnici per certificare metodologie e procedure, e per verificare che vengano applicate.

Cambia la tecnologia: ma è sempre una questione di “chiavi” e di “serrature”: e di “proprietà”.

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