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Le porte girevoli delle Authority

Pubblicato il 26/06/2010 @ 09:29 in Giornali,Il Sole 24 Ore


L’eventuale passaggio di soggetti da ente a ente o addirittura dal governo rischia di minare l’indipendenza e la credibilità dei regolatori.

Se non fosse per le sconcertanti vicende innescate dalla fine del mandato di Lamberto Cardia, sarebbe del tutto ovvio ricordare che tutti i maggiori Paesi riconoscono che il funzionamento di certi settori del sistema economico – politica monetaria, sistema bancario, mercati dei beni e servizi, mercati finanziari, servizi pubblici – devono essere sottoposti ad Autorità indipendenti: riconoscono cioè ci sono attività da svolgere e valori da preservare che è bene sottrarre agli interessi di governi e governanti, oltre che ovviamente a quelli dei soggetti controllati.

Non fosse per le proposte di cui si legge, sarebbe inutile ricordare che, proprio perché l’indipendenza è un concetto arduo da definire aldilà di ogni incertezza, e una pratica difficile da seguire aldisopra di ogni sospetto, sono i criteri di selezione, le procedure di nomina, i termini dei mandati, a definirla, e la reputazione stratificata negli anni a garantirla. I componenti delle Autorità sono scelti dalla politica, a volte, come nel mai abbastanza esecrato caso dell’Autorità delle Comunicazioni, diventano un parlamentino. Ma poiché, una volta nominati, non possono essere revocati dal Governo, sono in condizione di poter essere indipendenti. Se invece il Governo gli dimostra che sarà lui a gestire il loro futuro a mandato scaduto, lede in radice e per sempre il principio stesso di indipendenza delle Autorità: cioè la loro ragion d’essere. E’ questo quel che è successo e che potrebbe succedere.

E’ successo con l’uscita dell’attuale presidente Consob. Il mandato di ogni componente dura per legge 7 anni, non rinnovabili. Lamberto Cardia, prima come commissario, poi come presidente, ha cumulato un totale di 13 anni. Vanificati i tentativi per prolungarne ancora la permanenza, e i pretesti (dalla crisi finanziaria alla sua insostituibilità) per giustificarli, Cardia, superata l’età in cui vanno in pensione i professori universitari, viene mandato dal Governo alla presidenza delle Ferrovie dello Stato, una società totalmente pubblica, con un amministratore delegato che sembra riesca perfino a far funzionare i treni, dove quindi a prima vista potrebbe bastare il distacco di un valido funzionario del Tesoro: senza ulteriori oneri per lo Stato. Invece questo finale di partita espone a sospetti l’operato di chi gli succederà, mina la credibilità nelle future decisioni della Commissione. Soprattutto reca un danno irreparabile alla immagine di indipendenza della Consob.

Sta per succedere con l’entrata del nuovo presidente Consob: se si dovesse verificare l’ipotesi oggi più accreditata, quella di mandarvi il presidente dell’Antitrust. Alle porte girevoli tra un’autorità e l’altra si è già fatto ricorso con Antonio Pilati – all’Antitrust proveniente dall’Autorità delle Comunicazioni– e con Carla Rabitti – proveniente dalla Consob. Ma qui si tratta del presidente e di quale presidente: con un personaggio della statura e della storia di Antonio Catricalà, sarebbe un passo decisivo verso la creazione della categoria dei membri di autorità, una carriera che il Governo può prolungare e alla fine, Cardia docet, degnamente concludere. Un’altra candidatura, di per sé del tutto valida, quella di Giuseppe Vegas, è stata bocciata non di fronte alla contraddizione di spostare direttamente un viceministro dal Governo all’autorità che ne dovrebbe essere indipendente, ma per l’importanza dei compiti che sta svolgendo. Si è pur sentita l’ipotesi di mandare all’Antitrust il Direttore Generale della RAI nominato col consenso del padrone di Mediaset: si spera di aver sentito male.

Sarebbe dunque anche questa una conseguenza del conflitto di interesse in capo a Berlusconi? Queste difficoltà derivano da una sindrome da accerchiamento? Inspiegabile, tenuto conto di come sono cambiate nel frattempo le condizioni di mercato, e inutilmente dannosa al Governo stesso. L’indipendenza sembra essere una difficoltà, in realtà è la soluzione al problema delle nomine: sono proprio le condizioni e i vincoli politici a rendere la scelta difficile. Ci sono certamente in Italia (ma sarebbe proprio impensabile allargarsi all’Europa?) persone adeguate per profilo professionale, esperienza sul campo, solida dottrina: in una competizione seria, potrebbero pure autocandidarsi. Non tutti, c’è da scommetterlo, sarebbero a fine carriera.

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