Le larghe intese politiche che cavalcano il rigurgito protezionista

ottobre 17, 2013


Pubblicato In: Giornali, Il Foglio


Condividendo al 99 per cento il testo dell’appello “Contro il riflusso statalista” promosso dal Foglio, l’ho firmato. Più che esplicitare a cosa sia dovuto l’1 per cento mancante, mi sembra interessante ragionare sul perché di questo rigurgito statalista, e a quali interessi esso serva.

Il terzo atto della commedia Alitalia è istruttivo: quando è scoppiato il caso (cioè quando il benzinaio non ha più fatto credito), il presidente del Consiglio Enrico Letta era a Parigi. “Si tratta di un’azienda privata”, è stata la sua reazione a caldo: ineccepibile.
Perché, tornato a Roma, l’azienda gli è parsa un po’ meno privata? Perché per lui la cosa più importante è la tenuta del suo governo, e sa che le forze che lo sostengono esigono che Alitalia sia “accompagnata”. Il Pdl perché vuole evitare che l’insuccesso del piano ricada su Silvio Berlusconi; dunque good idea, poor execution.
Il Pd perché, ancor più nel pre congresso, il sindacato non si tocca; dunque no a chi taglierebbe posti di lavoro. La vicenda Alitalia si spiega tutta con interessi politici. Il rapporto perverso tra industrie e politica, di cui ha scritto Francesco Giavazzi sul Corriere della Sera di domenica scorsa, in questo caso va inteso come è, “pervertito”. La politica ha fatto fare alle imprese una cosa sbagliata per loro. Oggi non è per salvare patrioti che si attivano le Poste e si litiga con l’Europa. Il rapporto sarebbe stato pervertito anche se i patrioti ci avessero guadagnato.
Anzi sarebbe stato peggio, perché avrebbe portato acqua al mulino di chi vuole sempre l’intervento dello stato.
In Telecom, è stata la stessa cosa. Marco Tronchetti Provera trova il compratore che metta uno stop loss alla sua operazione, la politica gli impedisce di fare quello che crede per proteggere i suoi interessi, il compratore fugge, dopodiché si organizza l’operazione di sistema. Non certo per il dovere morale di compensare Tronchetti, né per favorire chi gli subentra, ma solo per ragioni politiche: l’impopolarità della vendita allo straniero.
Roberto Colaninno non viene incolpato tanto di quello che ha fatto durante la sua gestione, quanto di quello che ha fatto per acquisire il controllo. Non conta che comprare a debito sia una tecnica largamente praticata, che negli Stati Uniti ha prodotto grande efficienza, e qui ha sottratto il controllo a uno svogliato nocciolino duro. Roba da Goldman Sachs, crucifige. Questo rigurgito protezionista, dice l’appello, “non conviene alle nostre imprese, nemmeno a quelle più inefficienti”. A ben vedere non serve nessun interesse economico: perché ha le radici in un pregiudizio contro l’interesse economico in sé. Ha la sostanza dei sentimenti, velleità, orgogli, rimpianti, recriminazioni, rancori, paure e tanto bisogno di protezione. Ha la solidità dell’illusione che manager pubblici non interessati possano salvare le industrie e i posti di lavoro che una proprietà gretta e incapace ha mandato in rovina. Sentimenti e illusione che, per motivi diversi e magari opposti, accomunano larghe parti dell’elettorato di destra come di quello di sinistra. C’è una larga intesa politica che ha interesse a cavalcarla.

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