Le crisi si prevedono Roubini lo dimostra

giugno 13, 2010



dalla Domenica del Sole 24 Ore

Mercati e logiche del capitalismo

Le crisi finanziarie sono prevedibili? Nessuno è più credibile di Nouriel Rubini per rispondere affermativamente: nel febbraio 2008 , sette mesi prima del fallimento della Lehman (ma già nel 2006 lanciava i suoi ammonimenti), nel suo paper “12 passi verso il disastro” prevedeva con accuratezza la dinamica per cui una crisi tutto sommato di modeste dimensioni – Bernanke stesso all’epoca la stimava in alcune centinaia di miliardi di $ – avrebbe provocato il disastro che abbiamo visto.

E’ una questione di fondo: solo se le crisi sono prevedibili ha senso cercare di capirne le cause e proporre rimedi per evitarne il ripetersi. Nel suo ultimo libro, “La crisi non è finita”, scritto insieme allo storico Stephen Mihm, Roubini per prima cosa demolisce la teoria dei “cigni neri” di Nissim Taleb, secondo cui i fenomeni rari sono, proprio in quanto rari, inconoscibili. Le crisi sono invece cigni bianchi che attraversano tutta la storia dell’economia in modo regolare e prevedibile: è quindi possibile gettare le basi di una “economia delle crisi”. Il titolo originale è più appropriato per questa sorta di libro di testo in cui, paradossalmente, il contrarian Roubini, l’iconoclasta Roubini, finisce per confluire nel mainstream del politicamente corretto; e per assumere un’intonazione didascalica, l’opposto della concisa assertività con cui su giornali e blog argomenta le sue previsioni: anche chi la trova a volte irritante, la rimpiange.

Non è la sola contraddizione. Roubini è un keynesiano, anzi un mynskiano convinto, in frontale contrasto con la scula austriaca e il suo “profondo scetticismo verso l’intervento pubblico in economia”. Eppure Roubini riconosce il ruolo che le politiche pubbliche hanno avuto nel formarsi della bolla immobiliare. Dal Community Reinvestment Act del 1977, volto a promuovere la proprietà della prima casa, rendendo l’acquisto meno oneroso, traggono legittimità le pratiche che inducono a contrarre un mutuo anche persone che non hanno i mezzi per pagarne le rate; la detassazione delle plusvalenze realizzate con la vendita della prima casa incentiva, come dimostra il Nobel Vernon Smith, a comparne una più grande; il salvataggio di Wall Street dopo lo scoppio della bolla Internet produce l’aspettativa che la Greenspan put sarebbe intervenuta comunque; tassi di interesse troppo bassi per troppo tempo abbassano il costo del rischio; la SEC, che pure aveva Bernard Madoff tra i soggetti vigilati, non vede il gigantesco, ma banalissimo, schema Ponzi che cresce sotto i suoi occhi. Se gli interventi pubblici in passato hanno fallito o addirittura favorito le bolle, che ricetta ha Roubini perché in futuro facciano meglio?

All’origine della crisi Roubini mette la teoria dei mercati razionali, una “specie di assurdità” poiché i mercati sono “in realtà totalmente inefficienti”: sono quindi necessari interventi dell’autorità per correggerne l’instabilità, “inevitabile e intrinseca debolezza del capitalismo”. Egli vorrebbe che nell’inflazione, che le banche centrali hanno il compito di tenere sotto controllo, oltre ai beni e servizi venduti ai consumatori, venisse compreso anche il valore degli asset. E’ opportuno finanziare le innovazioni tecnologiche, ed è grazie alla possibilità di fare ripidamente migliaia di regressioni che si sono ridotte le correlazioni tra rischi: chi possiede le informazioni per sapere quando l’afflusso di danaro eccede il livello “normale”? Chi conosce tutte le cause delle decisioni degli investitori e tutte le conseguenze del contrastarle? Anche quando si tratta del gigantesco squilibrio che permette agli americani di indebitarsi e a un miliardo di esseri umani di uscire dalla miseria?

Se si riconosce che le crisi sono parte del sistema capitalistico, l’attenzione deve essere posta a ripristinare le condizioni per la crescita, pur sapendo che alla fine sarà da lì che nascerà la futura bolla. Per questo, mentre si fa fatica a pensare, con Roubini, che a produrre la crisi siano stati gli incentivi perversi dei manager, o i conflitti di interesse delle agenzie di rating, o l’abolizione della Glass Steagall, o i CDS, certamente si concorda con lui che sarà un bene allineare gli interessi dei manager con quelli degli azionisti, eliminare il bollino di Stato alle agenzie di rating, evitare che le banche ordinarie facciano anche gli hedge fund, trattare (una parte dei) derivati in mercati regolamentati: e via regolando. Il difficile sarà eliminare l’azzardo morale che è stato sparso in dosi massicce: “ non si possono salvare tutti […] e restituire alla nostra economia capitalista la sua precedente vitalità”. Chi scrive ha fiducia che questo succederà: ci sarà di nuovo chi vorrà investire il proprio danaro nelle innovazioni, tecnologiche o finanziarie, vedrà altri farlo, e le quotazioni salire; e ogni giorno si chiederà se le quotazioni di mercato già scontino i rischi di trovarsi dentro una bolla, compresi i segnali che, secondo Roubini, regolarmente la anticipano. Se Cassandra fosse stata ascoltata, gli Achei non avrebbero conquistato Troia; se lo fosse stato Roubini, non ci sarebbe stata la crisi del subprime. Cassandra esiste in quanto non viene ascoltata. E’ quindi in qualche modo singolare che chi è considerato la Cassandra degli economisti scriva un libro per esserlo.

La crisi non è finita
di Nouriel Roubini
399pp
Feltrinelli Editore

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