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Le Authority in mano alla politica

Pubblicato il 20/02/2012 @ 09:49 in Giornali,La Repubblica


Caro Direttore,
come l’ipocrisia è, secondo il proverbio, il tributo che il vizio paga alla virtù, così si potrebbe dire che le Autorità sono il tributo che il dirigismo paga al mercato. Quelle di regolazione dei servizi di pubblica utilità dovevano essere lo strumento per consentire il passaggio dal monopolio pubblico al mercato concorrenziale; tant’è che la legge Ciampi impone che, prima di privatizzare un settore, sia costituita la relativa autorità.

Ma la politica, per non perdere la possibilità d’intervenire sul mercato e i suoi meccanismi, ipocritamente vorrebbe che le Autorità fossero il mezzo per proseguire il controllo statale con altri mezzi. Per questo la loro /nascita fu così tormentata: la 481/95 doveva essere la legge quadro per tutte le Autorità di Regolazione.
Definire quella per l’energia elettrica ed il gas fu (si fa per dire) facile. Ma quando si trattò delle telecomunicazioni, il PdS, sperando di “dare una regolata” anche alle televisioni del Cavaliere, volle che ci si allargasse a tutte le comunicazioni, TV compresa. Risultato: dentro il “quadro” c’è un “ritratto” solo, l’Autorità per elettricità e gas; quella delle comunicazioni nacque nella legislatura successiva, retta dal ben noto parlamentino eletto col proporzionale; e per l’acqua si dovette attendere che fosse certo che non la si sarebbe “privatizzata” mai.

Se il tema delle Autorità periodicamente riemerge, come un fiume carsico, è perché la politica, non potendo decentemente farsi vedere ad intervenire direttamente sul mercato, lo fa mettendo e rimettendo le mani sulle Autorità. Così si fa dell’Anas, azienda di stato e titolare di concessioni, il regolatore di Autostrade; si propone (Franco Frattini) di dividerle in due, quelle di serie B a indipendenza limitata, o, al contrario, di irregimentarle tutte in un modello unificato (Romano Prodi, agosto 2005); si estraggono direzioni generali dai Ministeri e le si ribattezza Autorità “indipendenti” (virgolette mie); se ne inflaziona il numero, o al contrario se ne diluiscono le competenze, come nella proposta di assegnare autostrade e treni a quella dell’energia elettrica, per giunta in via transitoria e con personale ministeriale; si limita la loro possibilità di finanziarsi.

Ma il modo principale con il quale la politica cerca di allungare le mani sul mercato per interposta Autorità, è con la scelta degli uomini. Giustamente Stefano Micossi, traendo spunto dalla “vera rivoluzione nelle regole per l’accesso al mercato e all’esercizio delle libertà economiche” che il Governo Monti avrebbe avviato (e lo ringrazio della segnalazione, perché non me ne ero accorto), si domanda se le autorità “siano state sufficientemente indipendenti rispetto al potere politico e agli interessi costituiti”, essendo “questione centrale i meccanismi di nomina dei loro presidenti”. Ma quello che richiede – nomi proposti del Governo, conferma parlamentare a maggioranza qualificata, durata in carica di 7 anni non rinnovabili – è quello che prevedeva la proposta di legge (a cui mi vanto di aver contribuito) uscita dal Senato e trasmessa alla Camera (AC2231), fortunosamente difesa nel lungo iter parlamentare (legge 481/95). Nella sola autorità dove è stata applicata, quella dell’energia elettrica ed il gas, i risultati – e qui dissento da Micossi – sono unanimemente giudicati assai buoni.

Il tema della selezione di personaggi destinati a posizioni di grande importanza nel sistema, lato sensu, della pubblica amministrazione, ha portata più generale. Riguarda le Autorità di garanzia oltre quelle di controllo, i loro componenti e non solo i presidenti, direttori generali e capidipartimento dei ministeri. Perché non si instaura la pratica di sollecitare candidature, come fanno la BCE, la Commissione europea e autorità varie in tutto il mondo, come si può vedere dagli annunci a pagamento sull’Economist? Potrebbero esserci persone interessanti, che non vengono in mente a nessuno: invece le short list si limitano alle conoscenze personali del premier ministro e dei suoi ministri. Si continua a parlare di Europa, ma invece di attingere all’immenso patrimonio di competenze che essa offre, ci si limita a qualche funzionario conosciuto negli uffici della commissione, come è anche recentemente avvenuto per il posto cruciale di capodipartimento del ministero scuola-università-ricerca. Nessuna preclusione per le competenze di diritto amministrativo: aver passato una vita nell’amministrazione e conoscerne i funzionamenti, non è solo garanzia per la politica. Ma se non si compensa con innesti di storie e di competenze diverse, si assicura la continuità a danno dell’innovazione. Per non parlare dell’opacità in luogo della trasparenza.

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