Lavoro e questione morale: le ragioni di un impegno

di Franco Debenedetti


Questo impegno diventa tanto più serio oggi, che la nuova legge elettorale impone un rapporto diretto tra eletto ed il collegio che lo ha espresso. Abbia­mo voluto che il candidato fosse legato più al suo elettorato che alle segreterie dei partiti. Per quan­to riguarda le designazioni, ciò è avvenuto, bisogna riconoscerlo, in modo ancora imperfetto. Ma cre­do che questo stretto legame tra eletto e territorio sia un obbiettivo da non perdere, costituisca un im­pegno da mantenere . Per quanto mi riguarda , se sarò eletto, intendo essere anche ed in primo luo­go il senatore del collegio n°.1 di TORINO.

Ciò rimanda ai problemi di Torino, dunque al lavoro. A Torino, lavoro, ha sempre voluto dire in primo luogo FIAT: e certo la FIAT continuerà ad essere per molti anni ancora il punto nodale del problema occupazione a Torino. Ma è ora quanto mai urgen­te pensare a costruire in Torino nuove occasioni di lavoro e di impresa.

Quante cose sono nate a Torino ! Il cinema, la moda, la radio, i motori navali, i pneumatici (Superga): come ricordava Umberto Eco poche sere fa, anche il movimento operaio. Tutte cose che da Torino sono emigrate: con questo non si vuole indurre spirito revanscista (anche se in un possibile ed auspicabile decentramento dello Stato e dei suoi poteri, qualche pensierino lo si potrebbe pure fare   ), ma ricordare quanta imprenditorialità ed innovazione è stata espressa da Torino, anche fuori dall’auto e dai suoi componenti . Questo spirito, le competenze e la cultura materiale che in Torino si son formate e stratificate, devono potere essere mobilitate per creare i lavori nuovi.

Quali possono essere ? Penso innanzi tutto a quelli che si trovano all’incrocio delle aree tecnologiche delle telecomunicazioni, della televisione, dell’infor­matica, delle banche dati; quelli che si situano tra consumo, formazione, intrattenimento, tempo del lavoro e tempo del non lavoro.

La locuzione “politica industriale” ha assunto un tono assai svalutativo negli ultimi anni: ma ho l’impres­sione che Torino abbia bisogno, se non di una poli­tica industriale, comunque di un progetto, di alcune iniziative infrastrutturali, di un’idea guida sulla qua­le sfidare e chiamare a raccolta l’iniziativa ed il ca­pitale privato.

Questo nel medio periodo: nel breve periodo la ri­cetta si chiama, come è ormai generalmente ac­quisito, una maggiore flessibilità nel mercato del lavoro – che non sia però il mercato primitivo e sel­vaggio del lavoro – e tanta formazione. Certo, c’è anche bisogno di un atteggiamento più aperto al rischio di impresa: e per questo occorre un clima generale di fiducia. Ed è credo compito della sini­stra, oggi dei progressisti, dire forte che non è la riedizione del rampantismo craxiano, che ci vien oggi riproposta dal Cavaliere di Arcore, ad avere il monopolio della fiducia: anzi che solo la sicurezza di uno Stato giusto ed equo consente di creare quel clima di fiducia, da parte di tutti, che è indispensabi­le per rilanciare la voglia di intraprendere e di inno­vare.

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