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L’asta del calcio: lo Stato finanzia le nuove tv concorrenti

Pubblicato il 03/03/1996 @ 16:50 in Giornali,La Stampa


Che il successo di Cecchi Gori all’asta peri diritti sulle partite di calcio possa sconvolgere le abitudini dei telespettatori è comprensibile; che preoccupi gli addetti alle strutture di produzione Rai è umano; ma vedere in questo addirittura una catastrofe nazionale sembra veramente troppo. Non è cambiato il mondo, è solo cambiato il canale. Ci sono invece altri elementi, positivi e negativi, su cui vale la pena riflettere.
Elemento positivo è il passo avanti compiuto verso il chiarimento dell’equivoco sulla ‘missione’ Rai. Una Rai che partecipa insieme a privati a una gara di queste proporzioni è una Rai completamente inserita nel meccanismo concor-renziale: lo fa avendo il vantaggio dei proventi del canone, e lo svantaggio di essere soggetta, perché pubblica, a vincoli procedurali, a dubbi – può un servizio pubblico impegnare tanto danaro? – a problemi di equilibri interni – un direttore generale che ‘si dimentica’ di concorrere per il ciclismo! Per la Rai forse i due effetti si compensano, per noi certo si sommano, e danno una somma doppiamente negativa. Se la Rai agisce da privato si provveda a separare ciò che è, ciò che dovrebbe essere, veramente servizio pubblico, e si privatizzi il resto.

Lo si faccia prima che, tra beghe e indecisioni, perda di valore.
A proposito di servizio pubblico: abbiamo sentito la tesi paradossale per cui tale sarebbe il calcio (e il basket, al-lora?). Abbiamo assistito all’episodio patetico del presidente Moratti che in commissione al Senato, mentre chiede l’autorizzazione a concorrere anche sulla pay-Tv, promette un canale tematico dedicato ai lavori parlamentari. Abbiamo perfino sentito dire che si è servizio pubblico perché si fanno le cose meglio: cosa tutta da dimostrare, ma che porterebbe alla curiosa richiesta di dover estendere il pubblico anziché ridurlo.
Altro elemento positivo è che l’esito della gara va comunque nella direzione della rottura del duopolio Rai-Fininvest e dell’aumento del pluralismo. Sempre che il gruppo Cecchi Gori sarà in grado di mantenere gli impegni assunti. Se anche la Rai diventasse privata nella sua parte di intrattenimento, ci avvieremmo verso una situazione da cui avremmo tutto da guadagnare, come telespettatori e come cittadini. Qualcuno vorrebbe contestare la vittoria di Cecchi Gori, dato che le sue reti non avrebbero la copertura territoriale. È specioso sostenere che un imprenditore, già penal izzato una volta, debba per questo esserlo ulteriormente nel non potere estendere la propria offerta di programmi.
Il tutto dovrebbe poi essere messo nella giusta prospettiva: questi sono episodi di una battaglia di retroguardia. Il futuro è infatti chiaramente nelle trasmissioni criptate. Non ci sembra che ciò debba essere considerato negativo. La payTv e più ancora la pay-per-view consentono non solo l’ampliamento del servizio – si potranno vedere tutte le partite, a scelta – ma sono assai più eque sul piano dell’allocazione delle risorse dato che fanno pagare il costo dello spettacolo – e il finanziamento alle squadre – a chi ha interesse a vederlo e non a chi compera detersivi o pannolini.
Ben altri sono invece gli aspetti sostanziali sulla cui gravità soffermarsi. È assai probabile che Cecchi Gori abbia do-vuto ricorrere a finanziamenti e garanzie di grandi banche, dunque quasi certamente di banche pubbliche. Se l’operazione si regge sul massiccio finanziamento da parte di una banca pubblica, la concorrenza tra Rai e Cecchi Gori non è né la concorrenza tra privato e privato, né tra pubblico e privato, ma tra pubblico e pubblico. Se poi, come si dice, chi finanzia è la Banca di Roma e se, come altrettanto si afferma, questa è anche il maggior finanziatore della Fininvest, la situazione diviene grottesca. La Banca di Roma infatti, oltre a essere pubblica di per sé, ha tra i suoi azionisti l’Iri, proprietaria della Rai. Il pubblico è dunque proprietario di uno dei contendenti e finanzia in modo determinante gli altri due. Cioè: oggetto della contesa non erano i diritti a trasmettere il calcio, ma l’accesso ai finanziamenti bancari.
Qualcuno ha insinuato che l’asta era truccata; altri hanno sostenuto la bizzarra tesi secondo cui un imprenditore, sia pure televisivo, non potrebbe fare il parlamentare o avere simpatie politiche. Diversivi: i problemi di fondo sono quelli che non si sono voluti risolvere, le banche pubbliche e l’assetto del sistema Tv.

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