La vera scalata in atto. Fazio e Ds, altro che questione morale, la partita è l’assetto politico del Paese.

agosto 24, 2005


Pubblicato In: Giornali, Il Riformista

il_riformista
C’è un filo logico che collega gli episodi della vicenda bancaria che tanto ha agitato il nostro mondo finanziario e industriale: partita dalla competizione per il controllo di due medie banche regionali, BNL e Antonveneta, dopo aver investito con violenza senza precedenti la Banca d’Italia, ha riproposto la contrapposizione tra raider e establishment industriale, è quindi divampata come nuova “questione morale”, si è infine dispiegata come progetto politico volto a spostare verso il centro l’asse della coalizione di centrosinistra.

I temi erano sul tavolo da tempo: quello dei poteri di Banca d’Italia era esploso da un anno e mezzo, dagli scandali Cirio e Parmalat, e si stava ora stancamente trascinando nelle aule parlamentari; quello del controllo del Corriere della Sera veniva periodicamente alla ribalta. L’avvicinarsi della scadenza elettorale fornisce l’occasione per far convergere queste questioni su un unico obbiettivo: definire l’assetto dei poteri politici, industriali, finanziari nel nostro Paese dopo le elezioni del 2006.

Nel contesto della globalizzazione mondiale e dall’integrazione europea, le OPA degli spagnoli di BBVA su BNL e degli olandesi di ABN su Antonveneta non possono essere trattate dal Governatore come se i protagonisti fossero soggetti italiani. Antonio Fazio deve stare al gioco, e accettare lo strumento – le OPA – che aveva bandito dal mondo bancario, e usarne altri per mantenere la struttura verticistica in cui ha ingabbiato il nostro sistema bancario. Fazio viene accusato di avere violato le regole: in realtà continua nell’interpretazione che sempre ha dato dell’art. 47 della Costituzione, erigendosi a decisore ultimo e insindacabile di come vada protetto il risparmio degli italiani. Di nuovo c’è che ora, per mantenere il suo disegno, non può più far tutto da solo, deve mettere in campo altri operatori, e si trova a fare i conti con gli arbitraggisti, che, fiutando l’occasione, si sono buttati in mezzo.
Così Fazio, per la prima volta, si trova contro l’establishment che fino ad allora aveva sapientemente assecondato. quando aveva difeso Capitalia e quando era stato difeso da Intesa, (all’Assemblea di Bankitalia del 2004), quando aveva dato il benvenuto al nuovo governo Berlusconi e fornito munizioni alla polemica di Tremonti sul “buco”, quando era stato organizzato il salvataggio di Fiat, quando aveva gestito la transizione in Mediobanca dopo la scomparsa di Cuccia, quando aveva difeso senza cedere un palmo il sistema bancario negli scandali Cirio e Parmalat.
Per Fazio, gli stranieri avrebbero minacciato il sistema che era andato bene a tutti per tanti anni. Invece per l’establishment industrial-finanziario, se proprio devono entrare nuovi soggetti, meglio che siano stranieri che non nuovi protagonisti italiani (il che fa almeno venire qualche dubbio che gli stranieri sarebbero stati altrettanto efficaci nell’introdurre concorrenza) al punto che, per impedirlo, scatena una triplice controffensiva, usando per ciascuna un’arma specifica.
Contro la Popolare di Lodi, ora Italiana, l’arma è la questione legale, la sanzione per i comportamenti illeciti di cui sono accusati Fiorani e soci, dall’aggiotaggio all’insider trading, alle nuove fattispecie del market abuse.
Contro i raider, per difendere gli assetti proprietari in RCS, l’arma è quella della libertà di stampa e della “istituzionalizzazione” del Corriere.
Contro Unipol, l’arma è quella della “questione morale”, per la protezione che i DS avrebbero accordato alla sua iniziativa.
La triplice controffensiva crea le condizioni per un salto qualitativo della posta in gioco. Avviate le vicende bancarie sulla strada lunga dei provvedimenti giudiziari, messa RCS al sicuro da attacchi di sorpresa, ridotto il problema Fazio a quello di una sua decorosa sostituzione, perché fermarsi a metà, perché non andare diritto al vero problema, l’ assetto politico ed economico dell’Italia del dopo Berlusconi?
I DS non appaiono, all’establishment industrial- finanziario, del tutto affidabili. Non certo per il passato da cui provengono, ma per il futuro a cui guardano, non perché figli e nipoti di comunisti, ma perché studenti che hanno imparato la lezione del liberalismo. Si sono rifiutati di far valere lo strumento della golden share contro chi scalava Telecom; ogni tanto qualcuno di loro avanza proposte per limitare l’uso delle scatole cinesi e dei patti di sindacato; considerano potenzialmente pericoloso che le industrie partecipino al controllo proprietario delle banche. Soprattutto, non si limitano a unirsi al coro unanime che lamenta l’esiguità della nostra struttura economica, incapace di produrre nuove grandi industrie e nuovi grandi industriali, ma guardano con interesse attivo e offrono incoraggiamenti a quanti cercano di inserirsi nel gioco un po’ asfittico del nostro capitalismo.
Anche nell’Unione c’è chi non accetterebbe mai una propria subordinazione ai DS, e ritiene di poter intercettare i voti in uscita da Forza Italia offrendo adeguata garanzia di mantenere intatto il proprio carattere centrista, anzi di imporlo a tutta la coalizione.
Il reciproco interesse tra Francesco Rutelli e alcuni tra i più autorevoli leader industriali si era già manifestata in occasione del convegno di Frascati pochi mesi fa. La polemica sulla vicenda Unipol offre un’altra occasione per verificare quella sintonia. La “questione morale” è uno strumento flessibile, consente di spaziare in un campo dove si giudica non in base a precise norme di leggi ma a personali valori etici, dove il sospetto è un’accusa e l’opinione una condanna.
E poi, a dar manforte nell’attacco alla dirigenza diessina, si può sempre contare su alleati sicuri dall’interno. I duri e puri, che al solo nominare la “questione morale” corrono nuovamente ad arruolarsi nel girotondismo in disarmo. I vecchi comunisti, per cui le attività finanziarie sono la forma deteriore dell’attività economica che non produce merci. I nostalgici della programmazione, della via di sinistra tra stato e mercato, commentatori illustri che non si sono chiesti se sia nell’interesse di aziende molto indebitate e con necessità di finanziare ingenti investimenti mantenere partecipazioni in banche o in giornali, ma che ora affermano perentori che non è nell’interesse di cooperative prendere partecipazioni in banche.

E ora? Ci sono ancora diverse cose da sistemare: il 20% di RCS in mano a Ricucci, le azioni Antonveneta sequestrate dai magistrati , ma di proprietà dei “concertisti”. Per questa seconda partita si è letto che sarebbe in corso un intervento di Intesa; anche per la prima, logico pensare a un ruolo per la banca di Bazoli, che è nel patto di sindacato RCS. Il core del nostro capitalismo è un “nodo avviluppato”, un “gruppo rintrecciato”: pensare che due OPA, buttate lì anche in regioni apparentemente periferiche del sistema, non provocassero tensioni e scossoni a catena, appare, alla luce di quanto è successo e potrà succedere, alquanto ingenuo.

Invia questo articolo:
  • email
  • LinkedIn



Stampa questo articolo: