La società nell’era dell’algoritmo

novembre 9, 2016


Pubblicato In: Giornali, Il Sole 24 Ore


La scorsa settimana il governatore di New York Andrew M. Cuomo ha di fatto precluso ad Airbnb di operare nel suo mercato più redditizio. Ma dato che negli Stati Uniti se si proibisce a un privato di affittare casa sua a chi meglio crede si perdono le elezioni, Cuomo ha imposto una multa salata a chi offre la disponibilità della propria abitazione sul popolarissimo marketplace.

Pochi giorni fa un giudice britannico ha stabilito che gli autisti di Uber, anche se sono loro stessi i proprietari dei “mezzi di produzione” e decidono loro quando e per quanto tempo lavorare, hanno diritto a una paga minima e alle ferie: ma il “contratto di lavoro” rimane il manuale d’uso dell’algoritmo.

Più che prezzo e modalità d’uso, contro cui insorgono tassisti e albergatori, a far la differenza con i servizi tradizionali sono le quantità: quella del servizio offerto e quella del capitale mobilitato per fornirlo. Il numero di licenze di taxi da rilasciare viene deciso dal comune in base a statistiche, numero degli abitanti da servire, rilievi saltuari di code. La decisione di costruire un albergo viene presa anch’essa in base alle statistiche sui flussi turistici. Invece gli algoritmi digitali, scrive Dominique Cardon (“Che cosa sognano gli algoritmi”, Mondadori), piuttosto che basarsi su modelli statistici stabili e perenni, preferiscono «catturare gli eventi», adattando automaticamente l’offerta alla domanda e riducendo, o annullando, l’investimento in capitale fisso. Questa la differenza radicale: la statistica sta agli algoritmi come i grandi numeri stanno ai Big data.

Radicale perché la società si modella sui risultati delle misure che vengono prodotte su di lei: noi siamo tutt’uno con il nostro ambiente socioeconomico. Innovazioni tecnologiche, cambiamenti politici, evoluzioni sociali si muovono di concerto. Ibm nasce per velocizzare il censimento, la più fondamentale delle statistiche. Poi i suoi mainframe consentono l’analisi economica, le modulazioni del welfare, il benchmarking: con la politica degli indicatori la statistica diventa tecnica di governo. Con i minicomputer il digitale rende possibili nuove forme di gestione e di organizzazione. Le politiche liberali degli anni 80 e l’uso del digitale personale vanno di pari passo con l’esplosione dell’individualismo espressivo.

«In nome della rivendicazione delle singolarità – scrive Cardon – si è dato avvio a un ampio processo di reinvenzione delle tecniche statistiche al fine di calcolare la società senza categorizzare gli individui. […] Il monopolio esercitato dai rappresentanti sulla descrizione della società è stato minato permettendo agli individui di autorappresentarsi. I pazienti non vogliono essere ridotti alla loro malattia, i clienti ai loro acquisti, i turisti ai loro percorsi, i militanti alla loro organizzazione, gli spettatori al silenzio […].Ormai sarà possibile conoscere con precisione i destini individuali e rivolgersi agli individui liberandosi dalla solidarietà collettiva». Il market of one consentiva al cliente di scegliere da un elenco accessori e colori della vettura. Oggi Netflix classifica i film in 77mila categorie, incrociando le diverse tipologie con il profilo del cliente. Con il codice fiscale siamo contati, con l’indirizzo e-mail siamo noi a contare.

Ai noti problemi – protezione dei dati personali, garanzia dei diritti di proprietà – se ne aggiungono altri: quelli dei lavoratori che usano gli algoritmi di Uber o di Deliveroo, dei produttori che vengono classificati dal PageRank di Google, dei consumatori a cui Amazon indica i beni da acquistare. Chi garantisce che gli algoritmi non intrappolino l’internauta in una bolla, che non deformino o censurino la rappresentazione della realtà? Gli individui sono trasparenti agli algoritmi, ma gli algoritmi sono opachi: giustamente la cancelliera tedesca Angela Merkel ha chiesto la loro pubblicità.

E poi c’è la politica. Il pensiero democratico moderno si è formato sulla universalità dei diritti, a incominciare da quello di voto, il tessuto sociale si è costruito intorno al lavoro, nelle corporazioni prima e nelle fabbriche poi: significava emancipazione, oggi significa battersi per la competizione nel mondo globalizzato. E il consenso elettorale, come si forma nel mondo degli algoritmi? In queste elezioni presidenziali Usa sono diminuiti gli investimenti pubblicitari; la tecnologia consente di inviare messaggi Tv personalizzati al singolo utente. Ma il difficile è raggiungere l’elettore con meno di 35 anni, che non guarda la televisione: quale consenso si forma i se mezzi di comunicazione sono le pagine di Facebook o i 140 caratteri di Twitter?

L’home banking ha disintermediato gli sportelli bancari, Amazon le librerie, e gli Ott i network televisivi, blockchain potrebbe farlo con i movimenti di danaro. Cosa succederà per la scelta di chi vogliamo che ci governi? Una cosa ormai dovrebbe essere acquisita: farlo con l’algoritmo dell’uno vale uno, conduce a risultati che è eufemistico dichiarare deludenti.

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