La sfida di Lady Confindustria: cancellare il sistema da cui trae il suo potere

gennaio 31, 2008


Pubblicato In: Giornali, Vanity Fair

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da Peccati Capitali

Emma Marcegaglia, giovane, perbene, nordista, una storia industriale personale e di famiglia, un’esperienza alla guida dei giovani: ha tutto per essere un buon presidente di Confindustria. L’interrogativo è un altro: cosa deve essere una “buona” Confindustria? Qualcuno (Francesco Giavazzi ma non solo) dice che ormai non serve più e che dovrebbe chiudere. Io ci andrei piano: abbiamo bisogno di quelli che De Rita chiama corpi intermedi, che sappiano produrre e connettere identità a fronte della pervasività dello Stato.

Confindustria è anche una (troppo) grossa macchina burocratica, ma non giudicheremo Emma da come saprà contenerla. Confindustria controlla un giornale, ha un’Università, un centro studi, e il nuovo presidente dovrà mantenere i risultati del Sole 24Ore, avvicinare la LUISS al modello di un’Università “all’americana”, fare del centro studi il punto di riferimento per economia e governance d’impresa: ma neppure questo basterà a fare di Emma Marcegaglia un “grande” presidente. Per questo bisogna prima rispondere alla domanda: Confindustria, perché? Perché Confindustria occupa uno spazio che non ha nessuna delle sue consorelle europee? Questo spazio giova alle imprese associate, giova al Paese?

Certo, la concertazione conferisce un ruolo paraufficiale a quanti il Governo chiama a officiare quel rito: ma non si può far carico a Confindustria di non porre fine a una pratica oggi più dannosa che utile.

A forza di sfogliare il carciofo confindustriale siamo arrivati al nocciolo: il rapporto tra Confindustria e la politica. Che non è quello di una classica lobby, ma di un soggetto che con forza propria, con maggiore o minore protagonismo secondo la vocazione del presidente pro tempore, partecipa ai giochi politici: finendo per patteggiare cose che poco interessano la maggioranza delle aziende associate. Così anche Confindustria diventa parte dell’anomalia della politica italiana, che sempre più appare “una dittatura di oligarchie truccata da democrazia” (Piero Ostellino). Questo avviene perché la frammentazione partitica e la debolezza degli esecutivi riconoscono un potere a chiunque sia ritenuto in grado di spostare consensi: che si tratti di Confindustria o della CEI, non fa differenza. E’ la stessa ragione per cui da noi i giornali maggiori sono di proprietà di gruppi che hanno altri interessi industriali; per cui son caduti Governi pur di bloccare la nascita della televisione privata, e quella pubblica fa pensare a una Maison Tellier.

Da qualunque parte lo si prenda, si arriva sempre alla stessa conclusione: riforma elettorale che favorisca maggioranze stabili e coese, riforma costituzionale che rafforzi il potere del capo dell’esecutivo. Presidente Marcegaglia, una cosa le chiediamo: che ne sia cosciente.

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