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La rivoluzione silenziosa delle Poste

Pubblicato il 22/01/2014 @ 10:53 in Articoli Correlati


di Raffaele Bonanni

Caro Direttore,
solo alcuni organi di informazione (tra cui Il Sole 24 Ore) hanno saputo valorizzare la svolta storica rappresentata dall’accordo sulla rappresentanza tra le tre maggiori Confederazioni sindacali e Confindustria. Una straordinaria “riforma istituzionale” che sana un ‘vulnus’ sulla certificazione della rappresentatività sindacale che esisteva fin dal varo della Costituzione repubblicana.

Chi rappresenta chi? Come misurare il peso di ciascun soggetto negoziale e regolare il rapporto fra iscritti e non iscritti al sindacato nella stipula dei contratti? Temi che tanto hanno appassionato in questi anni i giuslavoristi e sui quali, recentemente, anche alcune forze politiche si sono misurate, ma con una vecchia visione statalista, a tratti populista, nel tentativo di appropriarsi persino dei temi che regolano la vita associativa. Il mondo del lavoro non ha bisogno di altre leggi, né di ricorrere alla supplenza, anche su queste questioni, della magistratura.
Una legge sulla rappresentatività aprirebbe solo uno scontro politico ed ideologico sulla natura e sulla concezione stessa del sindacato e delle associazioni imprenditoriali. Metterebbe a rischio il rapporto tra società e stato, la garanzia costituzionale dell’autonomia del sociale e dei corpi intermedi. Per questo, nei prossimi giorni, la Cisl farà le sue “primarie” sull’accordo sulla rappresentanza, con assemblee in tutti i posti di lavori e nei territori. Vogliamo confrontarci con i lavoratori, per promuovere e far applicare una intesa che, di fatto, conclude un percorso coerente di riforme nel mondo del lavoro iniziato con la piattaforma unitaria del 2008, ed i successivi accordi sulle relazioni industriali del 2009 e del 2011, il patto sulla produttività dell’ottobre del 2012, l’accordo sulla detassazione sul salario di produttività dell’aprile 2013.
È stato un cammino difficile e travagliato, soprattutto all’interno del sindacato, dove si sono misurate strategie diverse: quella partecipativa e della responsabilità e quella rivendicativa e conflittuale. Oggi abbiamo fatto tutti un passo avanti, rispetto alle esigenze di un sistema produttivo che per crescere ha bisogno di stabilità e certezza di impegni reciproci nelle relazioni industriali e nei contratti collettivi ed aziendali. E per questo va dato atto a Susanna Camusso e Luigi Angeletti di aver compreso la necessità di chiudere un periodo di divisioni e di presunte egemonie, riaffermando il principio costituzionale di rispettare la volontà delle maggioranze quando si assumono le decisioni, senza per questo voler mettere in discussione le garanzie delle minoranze. Insomma, questo sistema responsabile di regole sulla rappresentanza avrà certamente ripercussioni positive nel favorire nuovi investimenti. Ma adesso bisognerà pedalare sodo per non sciupare i timidi segnali di ripresa del paese. Ecco perché guardiamo con interesse la recente proposta della Confindustria di Pordenone per evitare le delocalizzazioni e salvare l’occupazione nelle aziende friulane.
Il sindacato e le imprese devono concorrere insieme al superamento dei tanti ritardi che gravano sul rilancio del sistema industriale, a cominciare dai costi eccessivi dell’energia, le infrastrutture insufficienti, le pastoie burocratiche, la confusione tra i troppi poteri dello stato, la giustizia civile lenta. Soprattutto, serve una riforma fiscale che abbassi drasticamente le tasse ai lavoratori, ai pensionati e alle imprese che investono. Sui fattori di sviluppo, orientati alla produzione industriale, dobbiamo fare una battaglia forte e comune, incalzando il Governo, le Regioni, gli enti locali e tutte le forze politiche. Non è un caso se il Governo francese di Hollande stia lavorando ad un patto di responsabilità con le parti sociali per ridurre i costi dello stato, abbassare il costo del lavoro e le tasse per i lavoratori e le imprese. Questo è ciò che la Cisl ha chiesto al Governo Letta. Speriamo che ora l’esempio francese possa far breccia anche in Italia.
Dopo l’accordo sulla rappresentanza si è aperta anche una nuova sfida per il nostro paese: riformare il sistema capitalistico attraverso la democrazia economica e l’azionariato collettivo dei lavoratori. Questa sarebbe la vera svolta culturale ed economica. La “rivoluzione silenziosa” delle Poste, con la scelta positiva del Governo Letta di cedere gratuitamente ai dipendenti una quota delle azioni (noi auspichiamo che si arrivi come in Inghilterra almeno al 10%), come ha giustamente colto Valerio Castronuovo sulle pagine del Sole 24 Ore, va estesa a tutte le grandi aziende pubbliche e private.
È giunto il momento di valutare se e come un modello di riferimento simile a quello tedesco può essere mutuato nel nostro paese, applicando l’articolo 46 della Costituzione, non solo per legare il salario ai profitti aziendali ed al successo dell’impresa, ma soprattutto per concorrere ad una democratizzazione della finanza italiana.
Non si tratta, quindi, solo di far eleggere i rappresentanti dei lavoratori nei consigli d’amministrazione, come fa bene a proporre il Jobs act del Pd di Matteo Renzi (che contiene anche innovazioni importanti contro la precarietà del lavoro, non a caso proposte dalla Cisl fin dal 2001). Si tratta di costruire finalmente nel nostro paese un sistema di democrazia economica nel quale i fondi collettivi dei lavoratori (a cui si deve legare anche la quota di previdenza integrativa ma rendendola obbligatoria) possano intervenire di diritto nel capitale d’impresa, proprio per vigilare ed indirizzare le scelte dei gruppi manageriali. Questa è sempre stata, storicamente, la battaglia della Cisl. La partecipazione sarà utile anche per le imprese perche è lo strumento, come bene ha ricordato anche Castronovo nella sua analisi, non solo per migliorare la qualità dei servizi e aumentare la produttività, ma per rendere le aziende più competitive e concorrenziali sul mercato sempre più globale.

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