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La politica? Si fa per vincere

Pubblicato il 29/12/2001 @ 16:24 in Varie


Risposta a Vattimo e ai buoni sentimenti

Gianni Vattimo, che mi prende a simbolo di chi va “da sinistra a destra in nome dello sviluppo” (“l’Unità” del 27 Dicembre), si decida: o le tesi che io sostengo e diffondo gli provocano “sempre più marcati dissensi”, oppure i miei sono veramente quello che gli appaiono, e cioè dei “tradimenti“. C’è una radicale differenza: i dissensi li si discute, i traditori si condannano. Nel primo caso si parla di logica e di politica. Nell’altro si istruisce un processo: in cui chi si ritiene giudice in quanto depositario della verità indaga sulle “evoluzioni”, soppesa le aggravanti per chi ha “persino” responsabilità parlamentari, chiede la damnatio di chi “(ancora?) non ha compiuto” una così “stupefacente evoluzione”, “inspiegabilmente sempre più berlusconiana”. “Francamente” sorprendente!

Ancor più sorprendente che la deviazione ideologica matrice di tutti gli errori sia, secondo Vattimo, il “riduttivismo economicista”, quello secondo cui tutto dipenderebbe dal mito dello sviluppo, e tutto si giustificherebbe in suo nome.

Gianni Vattimo ci sottovaluta. Anzi, ripudiando il rito inquisitorio collettivo, preferisco dire “mi” sottovaluta: il mio dissenso è molto più radicale. Sarà che chi, come me, è stato eletto da tre legislature in un collegio uninominale che tutti davano per perso, ha fatto propri i valori del maggioritario: ma io penso che si fa politica innanzitutto per vincere le elezioni e governare. (E smettiamola con la favola di Hitler, non ha mai avuto la maggioranza dei voti popolari in una libera elezione; e smettiamola pure con i paragoni impropri, questo non è un regime.) Altro che motivazioni meno nobili e presunto filoberlusconismo! Chi alimenta risentimenti prepolitici, lui sì tradisce il voto: perché chi lo ha eletto vuole essere governato dalla sinistra, non riscaldato dai suoi buoni sentimenti. E allora diciamoli questi motivi politici di “marcato dissenso”, o almeno i principali di essi.

Primo: lui. Berlusconi è un avversario che ha vinto le elezioni regolarmente, nonostante e non grazie a conflitti di interessi e processi in corso. Tocca a noi sconfiggerlo con le armi della politica, non aspettarci che lo facciano i giudici con le sentenze. Smettiamola di negare che questa speranza sia (stata?) coltivata a sinistra: chi lo fa o è un ingenuo o è in malafede. (Stesso discorso sostituendo il cancro ai giudici). Pensare alla scorciatoie distrae dal pensare alla politica. E più passa il tempo e meno servirà a spostar voti.
Secondo: noi. Sono assolutamente convinto che la politica della specializzazione (la sinistra si occupi della sinistra, e la Margherita del centro) è esiziale. Perché è rinunciataria per la sinistra, che si autocondanna a fare il portatore d’acqua. Perché erge a programma proprio il difetto che non ci perdonano, quello di essere disuniti. Vince chi ha una proposta politica per il Paese, non chi si divide in due ammiccando da una parte a Confindustria, dall’altra ai no-global.

Terzo: loro. Quanto il Governo sta facendo in tema di tasse, pensioni, scuola, lavoro, iniziative come il rientro dei capitali o il “padroni a casa propria”, potrebbero aumentare il consenso di cui gode nel Paese. Come dice Piero Fassino, bisogna portar via voti a chi ha votato Berlusconi, senza perdere un voto dei nostri. Per farlo, dobbiamo avere proposte migliori, e le avremo solo se guarderemo alla realtà senza tabù, con occhi disincantati, non se ripeteremo che il Paese ha sbagliato a votarli. Già lo notava Enrico Morando proprio sull’Unità a proposito della nostra mozione sulla giustizia: invitare il Governo a fare la politica della sinistra è patetico. Detto da parte di chi poteva farla e non l’ha fatta, poi, è masochismo deliberato.
Forse pensava a questo Piero Fassino quando a Pesaro ha detto che abbiamo perso per troppo poco, non per troppo riformismo. L’elenco delle occasioni perdute è lungo.
Perché non abbiamo riformato a modo nostro le pensioni, o l’art. 18? La convenzione sulle rogatorie l’abbiamo firmata nel settembre 1998: se mai dovessimo lanciare un referendum per abrogare la (orrenda) legge Berlusconi, che cosa diremo a chi ci chiederà perché una legge buona non l’abbiamo fatta noi in tre anni? Perché nessuno ha protestato quando Repubblica invitava Amato a lasciare a Berlusconi la riforma del falso in bilancio? E adesso ci lamentiamo che l’abbia fatta a modo suo? Eppure nonostante una maggioranza risicata siamo riusciti a far passare la par condicio, la riforma costituzionale del federalismo. Abbiamo fatto votare un inutile manifesto sul conflitto di interessi, e non abbiamo fatto la sola cosa che serve, vendere due reti RAI e fare concorrenza a Berlusconi sul mercato. Perché non abbiamo introdotto noi riforme sulla separazione delle funzioni dei magistrati, sulla obbligatorietà dell’azione penale, sulla valutazione dei magistrati, che pure abbiamo votato in bicamerale? E si potrebbe continuare.

La sinistra tornerà a vincere. Non lo farà con le politiche che sembrano piacere a Gianni Vattimo, e che sempre più sono vicine a quelle del “correntone”. La sinistra vincerà se sarà credibile nel promettere più libertà agli individui, più tutele a chi nel lavoro ne è privo anche per il conservatorismo di chi oggi le ha; se riuscirà a far sì che più persone abbiano più voglia di investire in questo Paese il proprio capitale, in primo luogo quello umano. E’ dal 1994 che la sinistra si rompe le corna ogniqualvolta indossa la toga censoria invece di quella curule. Scambiare tutto questo per “tradimento” non è solo segno di intolleranza al confronto e distanza siderale dal riformismo europeo di Tony Blair e Josckha Fischer: nel contesto italiano odierno, è pulsione suicida. La propria superiorità morale serve per politiche migliori, se si vince il governo del paese. In caso contrario, non rende meno triste un funerale politico.

P.S. “Dobbiamo far capire al Paese che noi faremo meglio le cose che fanno loro”, ha detto – più o meno- Piero Fassino a Pesaro. Non sarà che il vero bersaglio di Gianni Vattimo quando lancia le sue accuse di berlusconismo sia proprio il segretario?

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