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La nuova agenda Calenda sotto esame

Pubblicato il 04/01/2017 @ 09:06 in Giornali,Il Foglio


Tout se tient. Ma tenere insieme in una pagina un ragionamento che, partendo dal sistema paese, attraverso inclusione sociale, contrasto del populismo, valori della società aperta, tutela più assertiva degli asset, moral suasion per Mediaset, muso duro per Montepaschi, progetto di nuova Europa dei fondatori, settori prioritari di investimento, reddito di inclusione, occupazione e dumping sociale, legge elettorale, governo Gentiloni come ponte per un governo Renzi che metta in sicurezza il sistema paese, così chiudendo con eleganza l’arco retorico che proprio di lì aveva preso le mosse: beh, è un pezzo di bravura di cui bisogna dare atto al ministro Carlo Calenda, e a Mario Sensini che l’ha intervistato. Pauca minora canamus: io mi limiterò a elaborare su uno dei punti, quello della rete di grandi imprese come tutela degli asset strategici.

Minora sed non inepta, anche al titolista è sembrato che questa fosse la vera notizia. Nei mesi passati, quando Renzi, novello Mr. Wolf, giocava la Cassa depositi e prestiti (Cdp), posizionando su tutti i fronti i suoi fondi a valle e le sue Poste a monte, come facevano gli strateghi di Mussolini i carri armati banda larga, Taranto-Ilva, Montepaschi sia ponendosi alla testa dei nostri arditi sia disponendosi a difesa della bandiera, i più pessimisti di noi temettero di vedere nella Cdp la novella Iri. E invece no, altra è la proposta che Calenda ha in serbo: “Una rete fatta di grandi aziende capaci di muoversi in modo coordinato, tra di loro e insieme al governo”. Non la forza bruta delle maggioranze, ma il gioco sofisticato delle alleanze dinastiche, delle partecipazioni incrociate, e, osiamo l’indicibile, delle scatole cinesi. Non Beneduce, ma Cuccia, non una nuova Iri, ma la nuova Mediobanca: anzi, se non temessimo di essere irrispettosi, Mediobanca 4.0. Non ci nascondiamo le difficoltà di questo concerto, ma e lo diciamo con sincerità che il ministro affronti il problema mettendo in campo non l’alterigia dei princìpi ma la concretezza degli interessi ci sembra un passo avanti da rimarcare.

E già che ci siamo, ci permetta un consiglio. Non si fidi di quel che raccontano certi “amici”, non faccia sua la vulgata sul costo del salvataggio delle banche tedesche: è un falso, somma gli interventi in danaro fresco (144,2 miliardi di euro totale 2008-2013) e le garanzie prestate (139,8 il 5,11 per cento del pil al picco, ridottesi nel 2013 a 3,4 miliardi, 0,1 per cento del pil). In Italia gli interventi in equity sono stati solo 7,95, quelli come garanzia 85,68 (5,5 per cento del pil) che però sono lì ancora oggi (81,68 miliardi, 5,2 per cento del pil). Il paragone inoltre equipara fatti avvenuti in due regimi regolamentari diversi, ovvero prima e dopo l’Unione bancaria. A questa, è vero, manca ancora un pezzo: ma certe polemiche non sono un incentivo a creare il quid di fiducia in più necessario a completarla.

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