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La musica è finita: siamo in crisi

Pubblicato il 02/06/2013 @ 09:39 in Consigliati e recensiti,Giornali,Il Sole 24 Ore,Libri


After the music stopped. The financial crisis, the response, and the work ahead.
Alan S. Blinder,
The Penguin Press New York,
pagg. 476, $ 29,95


«Abbiamo bisogno di conoscere la storia dello storico per comprendere la versione che ci mette dinnanzi». Cade a proposito l’osservazione di Julian Barnes, quando la storia è quella della Grande Recessione e a darne la sua versione è Alan S. Blinder: professore a Princeton dal 1971, membro del Council of Economic Advisors del presidente Clinton, vicepresidente del Board of Governors alla Fed, Democratico, keynesiano pragmatico (senza premio Nobel, per intenderci), Blinder è figura di rilievo di quel mondo accademico – regolatorio – politico a cui appartengono anche coloro, nella Fed di Washington e di New York, al Tesoro e al Congresso, che di questa storia sono stati protagonisti. È per la sua storia personale se le sue coordinate di riferimento sono i rapporti politici, quelli interni al Congresso e alle sue commissioni, come quelli tra esecutivo e opinione pubblica; se le pagine più vivaci sono i resoconti delle riunioni del Comitato di Mercato Aperto della Fed, o degli incontri tra Tesoro, Fed e banchieri al culmine della crisi.

Blinder ha certamente ragione a sostenere che all’origine di una crisi così pervasiva non può esserci una sola causa, un solo colpevole, bensì una pluralità di fenomeni presenti nel sistema da prima del l’estate del 2007. Ma i sette che indica – bolla immobiliare e bolla obbligazionaria, leva eccessiva, carenza di regolazione, mutui subprime, derivati e prodotti finanziari costruiti su di essi, malriposta fiducia nei rating, schemi di incentivazione distorcenti – sono proprio quelli in cui si è imbattuto e quindi meglio conosce. Se neppure cita gli squilibri globali, l’aumento della diseguaglianza, il diminuito potere d’acquisto della classe media, è probabilmente perché sono temi che appartengono a sistemi culturali diversi. Quanto al ruolo della Fed, non dà molto peso (credo a torto) alla politica di bassi tassi di interessi, mentre fornisce convincenti elementi per escludere che abbia influito l’abolizione della Glass Steagall, come vorrebbe invece la “favola metropolitana” che pure continua a sedurre illustri commentatori, anche nostrani.
Già nel 2006 erano apparsi segni anticipatori della crisi, diventati crack seri tra luglio e agosto 2007. Ma, come disse Chuck Prince, Ceo di Citigroup, «finchè la musica suona, bisogna stare in piedi e ballare; noi stiamo ancora ballando». Solo un anno dopo la musica si fermerà davvero, con il fallimento della Lehman Brothers: il 15 Settembre 2008 rimarrà scolpito nella storia dell’economia. Poteva diventare la Grande Depressione 2.0: ma l’America l’evitò. Il Tarp, 700 miliardi di $ imprestati alle banche americane per non fallire, funzionò (perfino con un guadagno per i contribuenti), lo stimolo fece uscire l’America dalla recessione, il Congresso approvò la legge Dodd-Frank (Blinder ne dà un giudizio positivo). La cosa straordinaria è che tutto ciò non fu il risultato di un piano complessivo, ma di azioni prese in condizioni di emergenza, in casuale successione, quando era perfino difficile rendersi conto delle cause del fenomeno e delle conseguenze che gli interventi avrebbero potuto avere. Vi si giunse con incertezze, approssimazioni, cambiamenti di obiettivi in corsa: il racconto dei giorni e delle notti al culmine della crisi, delle discussioni tra Hank Paulson, segretario al Tesoro, e Timothy Geithner, presidente della Banca Federale di New York, è avvincente e drammatico. Blinder ha invece parole severe per la politica, per George W. Bush ovviamente, («c’è qualcuno che si ricorda un solo suo discorso sulla crisi economica che si stava sviluppando nel Paese?»), ma anche per Barack Obama: preoccupato per la sua riforma della sanità, a differenza di come avrebbe forse fatto Clinton, non ne fece la priorità da puntare con un laser e da perseguire con maniacale determinazione. «Abbiamo salvato l’economia, ma abbiamo perso l’opinione pubblica», riconobbe Geithner: sia lui (pessimo oratore) sia Paulson non seppero spiegare in modo convincente che cosa fecero e perché lo fecero, alla fine la gente restò convinta che il Governo avesse salvato i banchieri, i banchieri che il Governo li avesse immolati come capri espiatori.
Come ne usciremo? Blinder guarda ai giganteschi problemi irrisolti: ridisegnare un mercato dei mutui che funzioni; vincere la disoccupazione; riportare debito e deficit in limiti normali, anche se i postumi della crisi saranno poca cosa a fronte del l’esplosione dei costi della sanità; e l’Europa dell’euro. After the music stopped, è ricco di dati, grafici, schede esplicative; è scritto da un economista, ma non è un libro di economia; è un appassionante libro di politica, scritto da un politico appassionato ma mai ideologico. È per questo che, nell’ormai sterminata letteratura sull’argomento, si guadagna di corsa un posto di primo piano.

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