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La Lega e la finanza

Pubblicato il 16/04/2010 @ 11:55 in Giornali,Il Sole 24 Ore

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«Avremo una banca» In onda un film già visto

Nel modello delle Fondazioni le forze politiche hanno sempre avuto la loro rappresentanza: è lecito chiedersi, però, qual è il progetto che sta dietro.

“Le banche del Nord avranno uomini nostri a ogni livello”. Dobbiamo essere grati a Bossi per la rude franchezza. Basta con i si dice, le indiscrezioni, i ballons d’essai che circolavano da mesi. Basta con le cortine fumogene delle attenzioni da prestare, i dialoghi da instaurare, gli sviluppi da favorire. Meglio chi non ha falsi pudori. La stanza dei bottoni è preistoria, parliamo di bottoni. Col proporzionale, tanti voti tanti bottoni.

Negli anni tra il 1996 e il 2001 si pensava che la strada imboccata, di liberare risorse e mercati dall’occupazione dello Stato, in particolare nel settore del credito, fosse irreversibile. Il metodo per vendere le partecipazioni delle Fondazioni nelle banche, che proponemmo De Nicola, Giavazzi e Penati ed io, era ambizioso: ma nella legge Ciampi del 1998, con cui le Fondazioni conquistavano lo status di soggetti di diritto privato e la libertà statutaria, non passava la incompatibilità totale e in radice tra condurre attività no profit e partecipare al controllo di aziende for profit, industriali e soprattutto bancarie. Una separazione necessaria, perché quello che è anomalo nelle Banche è normale nelle Fondazioni. Se, come è, i loro statuti prevedono che le nomine siano, direttamente o indirettamente, di nomina politica, se il loro reddito è per legge destinato allo sviluppo locale, è normale che rispondano del loro operato ai cittadini di un bacino ancorché un po’ vagamente individuato. Il dover rendere conto non lede, ma anzi legittima l’autonomia.
Le Fondazioni sono state abilissime nel seguire le giravolte politiche dei Governi dal 2001 in avanti; rintuzzandone gli attacchi prima e collaborando poi, venivano premiate con l’ingresso, ricco di onori e di cedole, nella Cassa Depositi e Prestiti. Nelle loro banche, hanno accompagnato il processo di concentrazione che ha condotto agli assetti attuali. “I Guzzetti e i Palenzona abituati a farsi concavi e convessi a seconda delle occasioni” (come scrive Alessandro Graziani sul Sole di ieri) hanno giocato le loro residue partecipazioni per ottenere sostanziose rappresentanze nei Consigli.
Ma se le Fondazioni concorrono al controllo delle banche, diventano lo strumento attraverso il quale la politica può “mettere i [propri] uomini a tutti i livelli”. E se era consentito a personaggi di diversa formazione culturale e di altre famiglie politiche, perché non dovrebbe esserlo agli uomini del Carroccio? Forse che non possono anche loro interpretare gli acronimi via via inventati dal Ministro del Tesoro?
Le Fondazioni non possono prendersi gli encomi per essersi comportati come intelligenti azionisti istituzionali, e rigettar con sdegno l’accusa di essere il tramite per la rappresentanza della politica nelle Banche.
Non possono farsi scudo dell’autonomia quando temono di essere ridotte a strumenti della politica locale, e colloquiare alla pari col Governo per concorrere alla politica nazionale.
Nella parole di Bossi quello che colpisce è solo il predicatore e il pulpito, non la predica. Se invece che di banche avesse parlato di municipalizzate, o di altre aziende controllate dallo Stato, chi si sarebbe scandalizzato? E poi perché scandalizzasi, quando il capitalismo italiano si affida a intrecci e piramidi per evitare contendibilità e giudizio di mercati? Quanti hanno davvero interesse al funzionamento del mercato, e si affidano alla sua capacità sanzionatoria? Vuoi per convinzione, vuoi per convenienza, prevale l’idea che sia meglio un buon piano, qualche intervento mirato, ovviamente finanziato. L’italianità per proteggere e per proteggersi; i campioni nazionali, a casa nostra perché si deve, all’estero se si può. Se basta una nube all’orizzonte perché tutti, grandi e piccoli, invochino l’aiuto dello Stato, figurarsi quando si attraversano tempeste come queste ultime.
Il guaio dell’intervento della politica in economia non è solo negli sbagli in cui incorre, ma nella povertà di idee che produce e induce. Che idee porta Bossi per le banche? Lo sa che tutte le operazioni finanziarie di qualche rilievo sono fatte da 5 – 6 grandi banche mondiali, e che non è tanto esagerato dire che in Italia si fanno solo attività di sportello?
L’idea è solo di dire la sua su quale imprenditore (magari un immobiliarista) dovrà essere aiutato e quale no? Se, come sembra, ciò che la Lega ha in mente è di riprodurre nelle regioni del Nord il modello delle cooperative emiliane o del municipalismo senese, allora il suo “ci prendiamo le banche” farebbe venire in mente il già famoso “abbiamo una banca”. Con una differenza: che quella, comunque, una sua idea di banca ce l’aveva.

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Separare le fondazioni dalle banche
di Lamberto Dini – Il Corriere della Sera, 01 maggio 2010

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