La coscienza imperfetta

febbraio 13, 2012


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La coscienza imperfetta
Le neuroscienze e il significato della vita

di Arnaldo Benini
Garzanti, 2012
pp. 248


Il mondo vero è un grigio contenitore di molecole, silenzioso e opaco, null’altro che atomi e campi elettromagnetici in vibrazione. Invece nella nostra esperienza la realtà è una tavolozza di colori, odori, sapori, un flusso ininterrotto di emozioni, desideri, sentimenti. Il mondo in cui viviamo è dunque creato dal cervello. Ma perché vediamo le case e l’albero? Il suono è nella nostra mente, e però lo proiettiamo nell’orchestra oppure nel fastidioso motorino che sfreccia sotto casa. Che cosa ci fa credere che il contenuto della coscienza non sia dentro di noi, ma fuori, nello spazio e nel tempo?

Per capire i meccanismi della coscienza, è utile studiarla quando il cervello è leso: per esempio, la vigilanza senza coscienza dello stato vegetativo, il crollo nella demenza, il dolore fisico o il prurito, i disturbi del movimento, del senso dello spazio e del tempo. Ma sono utili anche il suono, la musica e il silenzio. Pur seguendo questa strada, e avvalendosi delle più recenti acquisizioni delle neuroscienze, la definizione della coscienza continua a sfuggirci. La concezione che la riduce alla sequenza di scariche elettrochimiche nelle reti neurali ci pare una minaccia al significato più profondo della vita, alla nostra libertà, alla gioia di vivere. A questa visione pare oltretutto opporsi un limite invalicabile, perché l’organo che studia la coscienza – il nostro cervello – è anche quello che la crea.
Allora siamo forse condannati a cercare all’infinito i criteri per indagare su noi stessi, rimettendoli in discussione a ogni nuova scoperta.

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